Germania al voto, ecco come funziona la democrazia tedesca

Germania al voto, ecco come funziona la democrazia tedesca
di Alessandro Di Lellis
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Giovedì 21 Settembre 2017, 19:25 - Ultimo aggiornamento: 22 Settembre, 09:04
Il sistema mediante il quale 61 milioni di cittadini tedeschi eleggeranno il Bundestag (Parlamento) è un proporzionale puro, corretto da una clausola di sbarramento del 5 per cento e da un complesso meccanismo che consente all'elettore di premiare un candidato.

La doppia scheda
Il territorio tedesco è ripartito in 299 circoscrizioni elettorali. La scheda elettorale è divisa in due. A sinistra il cittadino può esprimere il "primo voto", scegliendo un candidato. Colui che in una circoscrizione abbia ottenuto più "primi voti" degli altri è automaticamente eletto al Bundestag: è il mandato diretto. Nella parte destra della scheda, invece, il cittadino vota per una lista di partito: si chiama "secondo voto". Attenzione: il numero finale di deputati che ciascun partito manderà in Parlamento è determinato dalla quantità di "secondi voti". Se una forza politica ha ottenuto il 10 per cento dei "secondi voti", avrà circa il 10 per cento dei seggi. Mettiamo che abbia preso circa 60 deputati. Fra questi 60, i primi posti andranno automaticamente a quelli che sono stati eletti con il "primo voto", i mandati diretti. Poi via via tutti gli altri eletti con i voti di lista ("secondi voti").

E' possibile il voto disgiunto (splitting). Si può votare per il candidato diretto presentato da un partito e, nella parte di destra della scheda, per la lista di un partito diverso. Ciò causa una complicazione: un partito (di regola accade ai più grandi), grazie ai mandati diretti, può ottenere più seggi di quanti gliene spetterebbero in base alla ripartizione proporzionale. Sorgono così i "mandati soprannumerari". Nel 2009, per esempio, la Cdu-Csu di Angela Merkel ottenne ben 24 mandati soprannumerari. 

Il maxiparlamento
Nel 2012, la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che questo meccanismo dovesse essere corretto. E che, in caso di mandati soprannumerari per un partito, anche gli altri dovessero ricevere mandati di compensazione, in proporzione ai voti ricevuti. Anche a costo di "gonfiare" il numero dei deputati. E' così che il Bundestag uscente, eletto nel 2013, ha ben 631 deputati. Sulla carta, avrebbero dovuto essere 598: 299 eletti con il "primo voto" per i mandati diretti più 299 eletti con il "secondo voto" o voto di lista. Da queste elezioni ci si aspetta una Camera con 660, addirittura 700 deputati.

Per partecipare alla ripartizione dei seggi, un partito deve superare il 5 per cento. I candidati eletti col mandato diretto, però, entrano comunque al Bundestag. Se una forza politica ottiene almeno tre mandati diretti, è liberata dalla clausola del 5 per cento.

Repubblica parlamentare
Alla prima seduta, entro 30 giorni dal voto, il Bundestag nomina il proprio presidente. Poi si vota per il capo del governo, il cancelliere: il partito principale, che abbia raccolto una maggioranza attorno a sé, presenta un candidato. Se questo ottiene la maggioranza, si reca dal presidente della Repubblica, che gli conferisce una "Urkunde" o "notifica". Quindi il cancelliere designato torna in Parlamento per la fiducia definitiva. Non è dunque il capo dello Stato, a differenza di quanto accade in Italia, a conferire un incarico, ma il Parlamento stesso. Alla fine di questo commplesso rituale, il cancelliere e poi i suoi ministri giurano davanti al Bundestag.

Il Bundesrat
Il sistema tedesco è dotato di un'altra Camera, il Bundesrat, che raccoglie i rappresentanti delle Regioni. Essa non è eletta direttamente dai cittadini, ma è espressione dei sedici Laender (Regioni). Non conferisce la fiducia, ma può pronunciarsi su tutti i provvedimenti che riguardino il rapporto tra lo Stato federale e i Laender, in particolare in materia di bilancio. Si calcola che circa il 40 per cento delle leggi abbiano bisogno dell'approvazione del Bundesrat. Un cancelliere, pur godendo di una solida maggioranza politica al Bundestag, può finire in minoranza al Bundesrat. E' successo a Kohl e anche a Schroeder. Il capo del governo deve dunque usare l'arte della mediazione.
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