La proposta/ Le frontiere come vaccino contro i muri

di Giuliano da Empoli
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Lunedì 23 Maggio 2016, 00:09
Il testa a testa fa sempre un certo effetto. Quando poi a scontrarsi sono un candidato progressista e uno della destra populista, com’è il caso delle presidenziali austriache, è normale che gli animi si scaldino. In queste ore, i media di mezza Europa ci stanno raccontando la sfida all’ultimo voto tra Alexander Van der Bellen, il candidato verde, e Norbert Hofer, quello dell’ultra-destra, come un revival degli anni Trenta: il fronte popolare contro i nuovi fascismi, la democrazia contro i rigurgiti autoritari, manco fosse una piccola guerra di Spagna. La realtà è piuttosto lontana da questi toni esaltati e la prima cosa da fare nell’analizzare i risultati delle elezioni austriache sarebbe bandire ogni forma di pigrizia mentale. Se fosse eletto, è vero, Norbert Hofer sarebbe il primo candidato della destra populista portato a capo di uno Stato dell’Europa occidentale. Nonostante ciò, avrebbe poco senso interpretare la sua eventuale elezione come il ritorno del fascismo nel cuore della Mitteleuropa. Sono trent’anni che la sinistra austriaca, con il rinforzo dell’intellighenzia europea, accusa la FPÖ (il partito di Hofer) di essere l’incarnazione del Male, senza riuscire a scoraggiare minimamente i suoi elettori. 

Tre settimane fa, al primo turno delle presidenziali, il 51% dei giovani e il 70% degli operai hanno votato per Hofer, chiedendo un cambiamento di rotta rispetto all’immobilismo della politi[/FORZA-RIENTR]ca viennese, più che una svolta autoritaria. Tanto vale, allora, rinfoderare le urla di indignazione e gli appelli alla mobilitazione, le citazioni di Thomas Bernhard e le solite, annose considerazioni sulla denazificazione che, in Austria, al contrario della Germania, non avrebbe mai avuto luogo, per cercare di capire quello che sta accadendo per davvero. E quello che sta accadendo, in Austria come altrove, è relativamente semplice. C’è una quota, significativa, degli elettori europei, che si sente minacciata nella propria identità. La globalizzazione, l’integrazione europea, la caduta delle frontiere sia fisiche che culturali la mettono a disagio già da tempo. E ora, l’esplosione della crisi dei migranti è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Ne hanno abbastanza. Vogliono tornare indietro. Checché ne dicano i leader progressisti e gli esperti in televisione, si stava meglio quando si stava peggio. Si può non condividere questo sentimento. Ritenere che vada combattuto nel nome di ideali diversi. Ma quel che non si può fare è ignorarlo o, peggio ancora, cercare di inscatolarlo nelle vecchie categorie dell’estremismo di destra o addirittura del fascismo. È lo stesso errore che commettono i democratici americani quando cercano di spacciare Trump per un seguace del Ku Klux Klan: il tentativo di combattere le battaglie di oggi con l’armamentario ideologico di ieri, anziché fare la fatica di elaborare risposte nuove per confrontare problemi anch’essi nuovi. Il sogno dei neo-isolazionisti - i Trump, le Le Pen, gli Hofer - è fuori dalla realtà. Il piccolo mondo antico che vorrebbero costruire circondandolo di muraglie di ogni genere esiste solo nella retorica dei loro discorsi infuocati.

Detto ciò, sul fronte opposto, l’ingenua visione della scomparsa delle frontiere che ci accompagna da un quarto di secolo mostra anch’essa la corda.
Continuare a ripetere il mantra dell’apertura e dell’integrazione indiscriminata, senza porsi il problema delle tensioni e delle paure che questo genera, significa solo preparare nuovi Trump, nuove Le Pen, nuovi Hofer. Chi vuole oggi contrastare l’intolleranza e l’edificazione di nuovi muri deve in primo luogo riconoscere che il senso di comunità e quello di appartenenza continuano a svolgere un ruolo fondamentale per i cittadini. E che volerli proteggere non significa necessariamente essere un troglodita. Al contrario, l’unico modo per combattere i muri consiste oggi nel rivalutare le frontiere. Lo ha scritto qualche anno fa un intellettuale ex marxista come Régis Debray. Il quale sostiene che le frontiere siano un vaccino contro i muri, perché permettono lo scambio, pur garantendo il rispetto dell’altro. Forse è da qui, più che dalle crociate antifasciste, che dovrà prima o poi ripartire chiunque vorrà dare una risposta convincente e civile ai milioni di elettori che sono oggi tentati dalle ricette semplicistiche dei costruttori di muri.

 
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