E' andata in giardino, ha preso una pala e l'ha data in testa a suo padre con tutta la forza che aveva in corpo, poi ha finito l'opera sgozzandolo. Con estrema lucidità ha avvolto il cadavere in un tappeto e l'ha sepolto sotto quintali di terra nel giardino della sua casa di Reddish, Stockport, in Gran Bretagna: per lei la partita era finita lì. Era il 2006: da quel momento in poi ha continuato a vivere la sua triste vita, con un peso in meno tra i mille che le opprimevano l'animo e la mente. Ai familiari disse che Kenneth era morto e che i responsabili dell'ospedale lo avevano cremato, ma continuò a percepire la sua pensione per un ammontare, nel corso degli anni, di circa 200mila euro.
Nel gennaio scorso, però, a dodici anni di distanza, si è rivolta alla polizia e ha confessato tutto: non un pentimento tardivo, ma solo il tentativo di anticipare i risultati di alcune indagini che erano state avviate in base ad alcuni sospetti avanzati sulla morte di suo padre. Quando ha sentito che il cerchio intorno a lei si stava stringendo, ha battuto tutti sul tempo per alleggerire la sua posizione. Il giudice Timothy King l'ha condannata ora a soli nove anni di prigione alla luce dei suoi disturbi post-traumatici da stress e grave depressione legati agli abusi subìti per tutta una vita da quell'uomo che, invece di proteggerla come ogni padre avrebbe fatto, ha distrutto per sempre la sua esistenza.
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