Fidel, il tiranno fashion che stregò generazioni di sessantottini

Fidel, il tiranno fashion che stregò generazioni di sessantottini
di Mario Ajello
6 Minuti di Lettura
Domenica 27 Novembre 2016, 09:44 - Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 09:09

Fidel il dittatore, Castro l'eroe romantico. E viceversa. Questo è stato il Lider Maximo, un personaggio che ha reso centrale se stesso e la sua piccola isola sulla scena mondiale, nella politica del 900, nell'immaginario di tutti, dai tempi della rivoluzione del 58 fino ad ora. Fidel che ha tenuto testa a undici presidenti americani, senza che gli americani fossero mai riusciti a sottometterlo. Castro che ha ammaliato milioni di castristi in ogni angolo del pianeta, che ha creato masse di sud-latin lovers nella sinistra italiana.

Che ha agito da grande mattatore con movenze da star (basti ricordare come Gina Lollobrigida lo guardava intimidita e rapita dalle sue mani «così belle» mentre gli occhi di lui la avvolgevano insidiosi) e da censore spietato mutuando nei Caraibi il sistema di controllo repressivo e liberticida del Kgb. Anche se lui diceva di ispirarsi a Sant'Ignazio di Loyola: «In una fortezza assediata, qualsiasi dissidenza è un tradimento».

FAVOLA SUPER POP
La favola super-pop e super-combat di Fidel è stata quella del dittatore buono, del tiranno fashion, del Davide contro il Golia yankee, dell'esotico Comandante tutto sigari, rhum e revolución, come se non ci fosse anche tutto il resto tra cui i prigionieri di opinione, e il mondo intero - o almeno la parte che politicamente si ritene la migliore - gli è andato dietro.

Coltivando nei suoi confronti una fede incondizionata con tanto di pellegrinaggi politici sull'isola-paradiso, un culto della personalità (i castristi, i castronomi, i castro-comunisti, tutto quelli in preda alla castroenterite ossia alla sindrome da indigestione ideologica di zucchero ovviamente di canna) dovuto al fascino innegabile del personaggio e alla sua forza carismatica capace di sedurre intere generazioni sessantottine e post-sessantottine.

E questo misto di rivoluzionarismo barbudo e di esotismo caraibico, un po' Marx e un po' mojito, per oltre mezzo secolo ha ammaliato chiunque: da Sartre («Questo gigante imbronciato che li guardavo e lui non mi guardava. Quelle sue grandi e rosse labbra continuamente arricciate dalla riflessione. E lui è la personificazione della Giustizia») a Maradona, da Hemingway a Raffaella Carrà che rifiutò di presentare a Domenica In il libro dello scrittore incarcerato Valladares («Mai farò propaganda anti-cubana!»), da Graham Green a Gabriel Garcia Marquez, da Normal Mailer («Fidel è la dimostrazione che esistono degli eroi nel mondo») a tutti i militanti di tutte le sezioni comuniste del globo più Claudio Abbado, Zucchero, Carla Fracci e giù giù (è cronaca di queste ore) ai grillini. Come Carla Ruocco che ha twittato la foto di Casaleggio e quella di Fidel con dida: «Nessun rivoluzionario muore invano». E che dire, passando da Bertinotti (Lunga vita Caro Comandante, gli scrisse per gli 80 anni) a tutti gli altri eccetto i comunisti italiani più seri come Giorgio Amendola (il quale di Castro diceva: «È uno stratega da farmacia»), della geniale parodia che Fiorello fa dell'estasiato Gianni Minà, uno dei pochi intervistatori del Lider Maximo, e del suo slang latinoamericanista tra pachanga e Cuba libre anche inteso come cocktail? Fidel che è stato un caudillo («Odio questa definizione») si considerava un padre spirituale.

ORFANI E VEDOVI
E ora quanti orfani, quanti vedovi lascia Fidel. Le italiche castronerie ideologiche su Castro potrebbero riempire un enciclopedia del buon sinistrese. Alberto Moravia, che pure al romanticismo rivoluzionario aveva ceduto più di una volta, fu tra i pochi che osò criticare il motto libro y fucil, che gli ricordava il mussoliniano libro e moschetto. Italo Calvino? Tenne conferenze infiammate a favore di Castro parlando anche di se stesso («Sono nato da genitori italiani a Santiago de Las Vegas de La Habana in una piccola casa di legno e finalmente incontro i ricordi....») ma quando nel 1971 il regime arrestò Herberto Padilla, scrittore e poeta, Calvino firmò l'appello internazionale per la sua liberazione. L'editore Gian Giacomo, nella sua tenuta da miliardario tupamaro lombardo, si annidava nei cespugli mimando le mosse guerrigliere del Che e di Castro ma talvolta nella sua castroenterite s'infilavano di soppiatto rari momenti di inconfessabile sincerità: «Fidel è inadatto a governare Cuba ma il dramma è che il Paese è in mano a Raúl e a Che Guevara, uomini pericolosi».

SPIAZZANTE
Il Lider Maximo ogni tanto si divertiva a spiazzare i fanatici dell'utopia a tempo di merengue con dichiarazioni choc: «Il socialismo a Cuba non funziona» (settembre 2010). Panico nel resto del mondo. E comunque, oltre a Oliver Stone e a tutte le star sinistresi di Hollywood (molte di quelle che hanno contribuito a far perdere Hillary ma non sono riuscite a rovinare Fidel), perfino Wojtyla il leader cubano ha saputo personalmente ammaliare. Di Bergoglio inutile dire: quasi due gemelli della revolución.

È stata insomma la dittatura più amata quella cubana. Anche se Fidel di comunismo sapeva poco («Trotzsky? E chi era? Comunque non sarà stato ucciso da Stalin, che questo genere di cose non le faceva») e snobbò il 68 la cui icona è stata il martire Guevara. La veritiera narrazione dell'isola assediata dal Cattivo Gigante Yankee ha talmente funzionato che quando il giornale di Rifondazione Comunista, diretto dall'eretico Sansonetti, ha osato pubblicare un reportage in cui Cuba non veniva descritta come l'Eden, i castronauti nostrani sono insorti con tanto di proteste e cartelli sotto la redazione: «Sansonetti tu vuoi fa' l'amerikano». Lui prova a mediare e i fidelisti non abboccano: «A Sansone', semo inconciliabbbili!».

L'AMORE IDEOLOGICO
Il comunismo solare diverso da quello livido e truculento dell'Urss. Il marxismo tra le palme come forma più naturale di socialismo. La favola ha funzionato eccome, a dispetto dell'alleanza di ferro con Mosca, dei finanziamenti sovietici ai compagni caraibici in lotta contro l'imperialismo americano, degli scambi commerciali e dei piani quinquennali, dell'ambasciata russa a L'Avana che diventa il palazzone che fa ombra al governo locale. Ma gli occhi e i paraocchi dell'amore ideologico del mondo verso l'eroe in mimetica, in tuta e in accappatoio (una volta Castro si presentò indossando quello di Esther Williams, la star dei musical acquatici) hanno vinto su tutto. Anche su battute spiritosamente acute come questa di Gianni Agnelli: «Castro? Mi sembra soprattutto un gran borghese!». Per fortuna, non se n'è accorto nessuno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA