Pakistan, liberata famiglia ostaggio dei talebani dal 2012: durante la prigionia sono nati 3 figli

Pakistan, liberata famiglia ostaggio dei talebani dal 2012: durante la prigionia sono nati 3 figli
di Federica Macagnone
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Venerdì 13 Ottobre 2017, 15:59 - Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 12:16

Per cinque anni hanno vissuto in quello che hanno definito «un incubo kafkiano»: presi in ostaggio dai talebani del gruppo Haqqani, hanno vissuto in una prigione buia senza poter aver contatti con la propria famiglia, che ha ricevuto loro notizie solo grazie ai filmati pubblicati in rete dai terroristi. Ma adesso per Caitlan Coleman, 32enne cittadina statunitense, e per il marito Joshua Boyle, 33 anni, di nazionalità canadese, l'incubo è finito: sono stati liberati, insieme ai loro tre bambini venuti al mondo durante la prigionia, dalle truppe pakistane in collaborazione con l'intelligence statunitense dopo essere stati localizzati nella regione montuosa della valle del Kurram, in Pakistan, al confine con l'Afghanistan.

 

 


Caitlan e Joshua si erano sposati un anno prima del loro ultimo viaggio iniziato in Russia e continuato in Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan prima di arrivare nel nord dell'Afghanistan. All'epoca Caitlan era al settimo mese di gravidanza e l'ultima volta che la sua famiglia aveva avuto un contatto con lei e il marito risale al 2012. I due avevano comunicato ai familiari di non essere in una zona sicura dell'Afghanistan. Poi il nulla. Nel 2013 la coppia è apparsa in due video in cui chiedeva al governo statunitense di liberarli dai talebani. Successivamente i genitori di Caitlan hanno ricevuto una lettera dalla figlia in cui annunciava la nascita di un secondo bambino durante la prigionia: raccontava di aver nascosto la gravidanza per mesi ai talebani, prima di dare alla luce il piccolo nelle tenebre e con la sole luce di una torcia. «I nostri sequestratori sono stati clementi e ci hanno fornito tutto quello che ci serviva per il post-partum - scriveva la donna -. Quindi ora il piccolo è in carne ed è sano, grazie a Dio. Stiamo cercando di mantenere alto l'umore e stiamo giocando con i bambini come nel film “La vita è bella”». 

Dopo un lungo silenzio, dieci mesi fa, la coppia è apparsa nuovamente davanti alle telecamere con i figli per chiedere nuovamente che i governi statunitensi e canadesi si occupassero del loro rilascio. Secondo un funzionario dell'intelligence a Islamabad, la rete Haqqani aveva chiesto un riscatto di 15 milioni di rupie e il rilascio di prigionieri dall'Afghanistan in cambio della loro libertà. Ma, sempre secondo la stessa fonte, non c'è stato alcun pagamento. 

Nelle scorse ore la liberazione, durante un trasferimento dei talebani che stavano portando la famiglia nella regione del Kurram Valley. Giovedì mattina i genitori di Joshua hanno ricevuto una chiamata dal figlio dopo cinque anni. «Erano bloccati nel bagagliaio di un'auto e le ultime parole che hanno sentito prima della sparatoria sono state: “Uccidete gli ostaggi” - ha detto Patrick Boyle, il padre di Joshua, raccontando gli attimi convulsi prima della liberazione - Ha detto che sta abbastanza bene per essere uno che ha vissuto cinque anni in una prigione sotterranea. Mi ha detto che lui e Caitlan hanno avuto una terza bambina, nata appena due mesi fa». Adesso Joshua, Caitlan e i piccoli sono in Pakistan e si apprestano a tornare in Nord America nei prossimi giorni.

Mercoledì Trump aveva fatto riferimento alla vicenda in un discorso in Pennsylvania: «Qualcosa è accaduto in un Paese che, dopo averci totalmente deluso, ci ha chiamato con notizie importanti». Poi giovedì ha rotto ogni indugio: «Sono salvi. La cooperazione del governo pakistano è un segno che sta rispettando il desiderio dell'America di fornire maggiore sicurezza nella regione - ha detto Trump durante un evento alla Casa Bianca - Hanno lavorato molto per questo e credo che stiano cominciando a rispettare nuovamente gli Stati Uniti». In passato i funzionari americani avevano accusato a lungo i servizi militari e di intelligence del Pakistan di fornire copertura ai militanti, criticandoli per non aver fatto abbastanza per fermare la rete Haqqani, ritenuta responsabile di diversi attacchi contro gli Stati Uniti e alle forze alleate in Afghanistan.


 

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