Il ruolo dell’Europa/Ma l’Occidente non lasci solo il nuovo Sultano

di Alessandro Orsini
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Martedì 18 Aprile 2017, 00:05
Erdogan ha vinto il referendum costituzionale con il 51,3% dei voti. Ha perso nella città più rappresentativa, Ankara, dove il controllo della polizia è più massiccio. Evidentemente, la Turchia è ancora un Paese libero ed Erdogan non è il dittatore che la stampa occidentale ha rappresentato, altrimenti il referendum si sarebbe tradotto in un plebiscito, in primo luogo ad Ankara, capitale e sede del governo.

Perché abbiamo una visione così distorta della Turchia? Per comprendere che cosa sia la Turchia, abbiamo prima bisogno di comprendere che cosa siamo noi. 

Noi siamo l’Occidente, ovvero un corpo politico dotato di un’immensa energia vitale. L’Occidente non è un insieme di principi astratti. È un impulso vitale che tutto travolge. È una cellula aggressiva che si inserisce in tutti i tessuti politici. Può essere arginato, mai arrestato. È dimostrato dal fatto che alcune democrazie liberali hanno intrattenuto buoni rapporti con Isaias Afewerki che, in Eritrea, guida una delle dittature più dure del mondo. Afewerki è al potere dal 24 maggio 1993 e cioè da 24 anni.

È altresì dimostrato dal fatto che le principali democrazie liberali sono state in ottimi rapporti con Gheddafi, Francia compresa, e che sono in ottimi rapporti con le monarchie del Golfo Persico, al cui confronto Erdogan è la quintessenza della democrazia. La pace è un modo di osservare il prossimo attraverso la conoscenza di se stessi. Se i Paesi europei acquisissero la consapevolezza del loro cinismo politico, potrebbero sperare di avere rapporti più distesi con la Turchia. 

Dunque, che cosa vuole, realmente, l’Occidente da Erdogan? L’Occidente vorrebbe controllare la Turchia e, per fare questo, vorrebbe trasformarla in una democrazia liberale, ma non può riuscire nell’impresa perché il vero problema dell’Occidente non è Erdogan, ma il Medio Oriente. Per comprendere quale sia il modo migliore di gestire i rapporti con Erdogan dopo il referendum, dobbiamo liberarci dell’idea sbagliata, secondo cui la Turchia sarebbe in Europa. Sotto il profilo della sicurezza nazionale, la Turchia è indiscutibilmente immersa in Medio Oriente. Non confina con Francia, Italia o Germania. Condivide la gran parte dei suoi confini con Siria, Iraq, Iran. In Siria, è l’inferno; in Iraq, è l’inferno, mentre l’Iran pone un inferno di tensioni con Israele, Arabia Saudita, Bahrein, Giordania, Inghilterra e Stati Uniti. Ne consegue che la Turchia è inserita in un contesto politico infernale. Pensare che la Turchia sia Erdogan è come pensare che la Germania sia la Merkel.

Angela Merkel si muove all’interno di un campo di forze oggettive rappresentato dai suoi confini nazionali. A sud, la Germania confina con Svizzera e Austria. Il che significa che confina con la pace. A sud, la Turchia confina con Siria e Iraq. Il che significa che confina con la guerra. Una guerra che spesso irrompe anche in casa attraverso ben due tipi di terrorismo: quello curdo e quello islamico, a cui occorre aggiungere i carri armati dei militari golpisti che schiacciano la folla sotto i cingoli, com’è accaduto il 15 luglio 2016. È impossibile comprendere Erdogan senza comprendere che i tipici problemi della Turchia sono problemi mediorientali. A Erdogan piacerebbe entrare nell’Unione Europea. È forse il suo desiderio politico più grande. Ma questo desiderio deve fare i conti con coloro che vorrebbero ucciderlo.

I leader europei vorrebbero che Erdogan fosse come loro, ma nessuno di loro vorrebbe essere nella condizione di Erdogan. Credere che la caduta di Erdogan trasformerebbe la Turchia in una democrazia liberale significa non avere la più pallida idea di che cosa sia la Turchia, del luogo in cui si trova, della sua storia e delle tensioni che covano nel suo ventre politico. Il modo in cui i Paesi europei dovrebbero gestire i rapporti con Erdogan è semplice: orientarsi verso il risultato referendario con la tipica mentalità riformista che si basa sul principio degli avanzamenti progressivi. È una mentalità ben diversa da quella rivoluzionaria, basata sull’ossessione del tutto e subito. È dunque necessario pressare Erdogan in direzione del liberalismo, ma senza mai giungere alla rottura. Non è saggio spaventare un uomo spaventato. Migliori saranno i rapporti con Erdogan, maggiori saranno le probabilità di aiutare la Turchia in questa fase difficile. 
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