En Marche/ Programma sociale contro i populismi

di Marina Valensise
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Lunedì 8 Maggio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:52
La Francia di Emmanuel Macron è un Paese diviso, in preda a una grave cesura sociale, economica, geografica. Da un lato c’è l’Est, che ha votato per Marine Le Pen: regioni, città, paesi, territori vicino alle frontiere.
Zone percorse dal dramma dell’immigrazione, della deindustrializzazione, della desertificazione sociale, della disoccupazione cronica. Dall’altro lato c’è l’Ovest, lontano dalle frontiere, aperto al vento atlantico, alla transizione ecologica, all’innovazione, all’effervescenza degli scambi, dove vive per lo più una popolazione di giovani e di pensionati. Macron dovrà essere il presidente di tutti i francesi, il suo governo dovrà trovare una risposta sia per la maggioranza che l’ha eletto, sia per la minoranza che gli ha votato contro o si è astenuta. Il suo programma è “flou”, vago, indeterminato, dicono i commentatori, ma quello di Marine Le Pen è “fou”, folle. Macron vuole moralizzare la vita pubblica - bando agli inquisiti, al cumulo dei mandati, un terzo di parlamentari in meno, e un po’ di proporzionale - riformare il codice del lavoro, riformare la scuola, dando di più a chi ha di meno.

Gli alunni delle elementari che si trovano a vivere in regioni abbandonate, zone rurali, periferie extra legem, vietati alla République, come denunciano da anni alcuni eroici testimoni, avranno più classi (massimo 12 allievi), più professori, più attenzione per imparare a leggere, scrivere, fare di conto. Perché l’eguaglianza per il liberale Macron non significa egalitarismo, ma offrire a tutti le stesse opportunità per ridurre il divario tra chi ha poco e chi ha molto. La priorità dunque è la scuola e la formazione, che serve a riqualificare il disoccupato in cerca di lavoro. La generazione Macron a scuola potrà seguire corsi bilingui in francese e tedesco, studiare il latino (falciato dalla ministra socialista Najad Vallaud Belkacem) avere corsi di orientamento per scegliere l’università con cognizione di causa. Le scuole professionali saranno in rapporto con le aziende, che sosterranno l’apprendistato. Gli universitari potranno conoscere i risultati dei loro atenei, l’elenco degli iscritti, dei laureati, di quanti hanno trovato uno sbocco e in quanto tempo e in quali settori. Iniettando dosi di fiducia nei liceali e di autonomia negli istituti, semplificando e sburocratizzando, le grandes écoles non saranno più le riserve esclusive per secchioni di buona famiglia, capaci sin dai sei anni di risolvere equazioni di primo grado, ma si apriranno a tutti i talenti, quale che sia l’origine e la provenienza.

Entrare nel mondo del lavoro sarà più semplice e più remunerativo, perché la rivoluzione liberale di Macron vuole ridurre la spesa pubblica, sostituendo le spese “palliative” con quelle produttive. Il che vuol dire eliminare la burocrazia parassitaria, investire nel capitale umano, nella transizione ecologica, nel digitale, settori chiave per primeggiare nell’economia della conoscenza, della velocità, dell’innovazione. Benvenuta dunque la riduzione del costo del lavoro, dell’energia, delle imposte sul capitale e sui redditi di impresa, per consentire alle aziende margini sufficienti per poter reinvestire. Con la riforma di un anno fa, Macron ha introdotto il Cice, (Credito di imposta competitività e lavoro), adesso vuole dare alle imprese libertà di negoziare accordi sia per branca sia per settore, vuole un fisco che ricompensi l’assunzione del rischio e deprima la rendita parassitaria, donde l’imposta su patrimonio mantenuta per gli immobili, ma non per gli investimenti nel mercato azionario. E allora largo alle start up, ai giovani che innovano col digitale, l’infrastruttura del XXI secolo da portare in ogni angolo del paese. Largo alla cleantech, la tecnologia pulita che consente risparmio energetico e sostenibilità industriale. Finito il sogno di palingenesi sociale, la politica per Macron conserva un’ambizione radicale: creare le condizioni che consentano a ciascuno di trovare la propria strada, di diventare padrone del proprio destino, di essere libero a modo suo.

Così, riconciliando passato e presente, il più giovane presidente della V repubblica, che è nato nell’anno di Charta 77, quando lo scrittore dissidente Milan Kundera fuggito da Praga trovò asilo a Parigi, affida il futuro della Francia a una miriade di singoli individui ma interconnessi, che pensano la solidarietà come condivisione, il collettivo in termini di mobilitazione permanente, e in epoca postideologica limitano la rivoluzione ai diritti civili. Nell’era Macron potranno sposarsi tra omosessuali, avere figli anche in provetta, ma non con l’utero in affitto, perché la famiglia ormai ha mille forme e anche quella artificiale, che offre gioie sconosciute ai reazionari e omofobi come Jean Marie Le Pen. Vivranno in pace e in sicurezza, grazie alla lotta senza quartiere contro il terrorismo, alla rete internazionale dell’intelligence, alla tecnologia della cybersecurity, e soprattutto grazie all’Europa, che Macron vuole rifondare ex novo, difendendo la moneta unica, rilanciando l’Unione politica e quella economica, mobilitando i cittadini per introdurre un bilancio comune e l’armonizzazione fiscale. “Vaste programme” diranno gli scettici. Ma i francesi sono pronti e con i tedeschi, che votano in settembre, vorranno riscrivere i trattati, mentre noi, qui in Italia, cominciamo a capire che non ci sono più alibi. La presidenza Macron è l’ultima occasione per rifondare l’Unione europea, neutralizzando la minaccia populista.
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