Egitto, Al-Sisi: «I Fratelli musulmani stavano vendendo il Paese all'Iran»

Egitto, Al-Sisi: «I Fratelli musulmani stavano vendendo il Paese all'Iran»
di Elena Panarella
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Lunedì 25 Gennaio 2016, 17:02 - Ultimo aggiornamento: 17:22
Nel quinto anniversario della rivoluzione egiziana che in 18 giorni portò alla caduta del rais Hosni Mubarak, il presidente Abdel Fattah Al Sisi e un alto funzionario hanno ricordato al Paese il rischio corso dall’Egitto nell’anno in cui fu dominato dai Fratelli musulmani: quello di un’islamizzazione forzata a modo loro con un ravvicinamento all’Iran venduto in cambio di miliardi di dollari e petrolio. In una conferenza stampa del funzionario e in un discorso del presidente, gli egiziani sono stati sconsigliati dal rispondere agli appelli a manifestare lanciati dalla Confraternita musulmana assurta al potere nel 2012-13 attraverso controverse elezioni e ora messa al bando come terrorista dopo la rivolta popolare. Blindati a piazza Tahrir (nel giorno della festa della Polizia) e in molti punti del Paese stanno rendendo ancor più convincente la diffida. 

La Confraternita. Il presidente del Comitato che gestisce i beni della Confraternita, Ezzat Khamis, ha presentato un documento che dimostrerebbe come i Fratelli musulmani progettarono un ravvicinamento dell'Egitto sunnita all'Iran sciita in cambio di un deposito da 10 miliardi di dollari presso la banca centrale egiziana e la fornitura al Cairo di prodotti petroliferi iraniani. Confermando quanto già sostanzialmente noto, Khamis ha illustrato anche altri documenti secondo i quali i dirigenti del movimento progettavano di «islamizzare» lo Stato dando ordini all’allora presidente Mohamed Morsi e al suo gabinetto e infiltrando le istituzioni. C’era l’obiettivo in pratica di «dissolvere la Suprema corte costituzionale». Un’infiltrazione capillare che è penetrata anche nella società: fornendo il bilancio dei beni sequestrati in due anni e mezzo perché in qualche modo legati alla Confraternita, il capo del comitato ha elencato 105 scuole, 43 ospedali, 29 associazioni mediche e 1.125 di altro tipo. 

Gli ultimi due anni «dimostrano che il nostro Paese è stato trasformato da una patria che appartiene a un gruppo a una patria che appartiene a tutti», ha detto Sisi facendo un indiretto ma chiaro riferimento a questa concezione delle istituzioni che viene attribuita alla Fratellanza. Il presidente ha difeso quello che media a lui chiaramente ostili come la tv qatariota Al Jazeera chiamano «colpo di Stato»: «il popolo che si è ribellato per la propria libertà e dignità ha rettificato il corso degli eventi ed è scoppiata la rivoluzione del 30 giugno» 2013, ha ricordato. «L’Egitto di oggi non è l’Egitto di ieri, stiamo costruendo insieme uno Stato civile moderno, sviluppato», ha sostenuto. Il presidente ha poi invitato a pazientare circa le carenze del sistema egiziano e ha sottolineato che «stiamo lavorando per migliorare». Il presidente fra l’altro ha parlato della lotta al terrorismo e alla corruzione, oltre che a problemi come quello della carenza energetica. E alle critiche sul rispetto di diritti umani e reale democraticità delle istituzioni che vengono da Ong e commentatori, il presidente ha risposto che «le esperienze democratiche non maturano dal giorno alla notte». Ora comunque, ha sottolineato, il Paese ha completato la terza e ultima tappa della sua roadmap verso la democrazia dotandosi di un Parlamento. In giornata il ministero dell'Interno ha annunciato che non vi sono state richieste a manifestare in occasione del 25 gennaio e quindi qualsiasi corteo o assembramento che non siano le celebrazioni per la festa della polizia saranno disperse. 

La manipolazione delle immagini. «In questi giorni molte notizie sono state manipolate, immagini vecchie che rimbalzano come attuali per alimentare solo confusione. Le stesse scattate durante la rivolta contro Mohamed Morsi il 30 giugno 2013 - spiega lo scrittore e analista politico, Ali Maklad - subito dopo quella data sono accaduti tanti atti terroristici che hanno colpito l’Egitto, grazie a un grande lavoro di intelligence si è scoperto che i responsabili di questi atti che hanno messo in ginocchio il Paese, bruciato e attaccato caserme militari e della polzia, che hanno bruciato chiese erano gruppi appartenenti ai Fratelli Musulmani e legati proprio a Morsi». «Quello che sta accadendo ora è qualcosa di molto naturale polizia e militari presidiano le strade per proteggere la sicurezza nazionale ma non ci sono armi pesanti come dicono alcuni media - continua Maklad -  Il tam tam alimentato sui social con chiare minacce da parte dei Fratelli Musulmani incitando alla violenza con l’uso delle armi e le minacce dell’Isis, portano naturalmente a rafforzare i luoghi più sensibili e non solo. Il popolo egiziano anche dopo gli ultimi fatti accaduti in Tunisia ha la necessità di sentire che la situazione sia sotto controllo. Abbiamo già visto come sia facile far scivolare di mano una semplice e normale manifestazione perché troppo spesso pilotata da altro ed esplosa come una bomba. L’operazione strade sicure mai come negli ultimi tempi c’è ovunque in Francia, in Italia, in Belgio ed è naturale: quando un Paese si sente minacciato proteggere il suo popolo». 

Controlli e blitz. Negli ultimi giorni poi «la polizia ha individuato e smantellato diversi covi di membri appartenenti alla fratellanza musulmana pieni zeppi di armi pesanti e una quantità notevole di esplosivi da piazzare al Cairo. Stessa cosa è accaduta a Giza, dopo una serie di appostamenti da parte della polizia, è stato individuato un appartamento con persone già segnalate alle forze dell’ordine, durante il blitz l’appartamento è esploso: 10 persone sono morte e 15 sono rimaste ferite. Si sarebbe trattato di una «trappola» fatta sette bombe telecomandate, secondo indiscrezioni investigative. Due le rivendicazioni una da parte dei Fratelli Musulmani l’altra da un gruppo legato all’Isis. Questa rivendicazione fa analizzare il legame tra i due gruppi che hanno praticamente lo stesso scopo, visto che entrambi si sono appropriati del folle gesto». «L’Egitto è un Paese centrale per tutti, importante non solo per la posizione che occupa geograficamente ma per tutto quello che rappresenta da sempre - conclude l’analista politico Maklad - tutti hanno diritto a manifestare, ma prima di tutto nessuno deve più correre rischi, ecco perché in momenti così delicati è fondamentale mettere in primo piano la sicurezza del Paese. Non viviamo momenti facili da anni, ora è arrivato il tempo di costruire e non distruggere. Non possiamo più permetterci un 25 gennaio come quello del 2011 e nemmeno possiamo permetterci che gruppi come questi diffondano paura e terrore in mezzo a 90 milioni di egiziani». 

Molotov nel Delta. «Scontri» fra «alcune decine» di manifestanti pro Fratelli musulmani e forze dell’ordine a Kafr El-Sheikh, nel delta del Nilo quasi 150 km a nord del Cairo, sono stati segnalati da fonti della sicurezza. I manifestanti hanno lanciato molotov contro agenti che hanno risposto con lacrimogeni causando l’intossicazione di una decina di dimostranti.
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