La discesa del tasso di mortalità, in corso da settimane, si sta consolidando ovunque. L'ultimo bollettino, emesso appunto ieri, fa riferimento ai casi confermati, probabili o sospetti in Guinea, in Sierra Leone e in Liberia a tutto l'11 novembre. Il virus, stando al rapporto, ha colpito 14.413 persone e l'incidenza dei nuovi casi continua ad aumentare in Sierra Leone (cioè ogni giorno si ammalano più persone del giorno prima). Ma il numero dei decessi confermati, 5.165, è ben lontano dal 50 per cento registrato durante l'estate: i morti ogni cento malati, ora, sono scesi attorno a quota trentacinque e benché la percentuale resti altissima la differenza dal punto di vista epidemilogico è enorme.
Il crollo" della mortalità, secondo gli esperti, è strettamente legato agli sforzi dei medici e degli infermieri sul territorio. «Ebola resta una malattia estremamente aggressiva - dice un infettivologo dello Spallanzani - ma il tasso di mortalità è legato anche al modo in cui vengono curati e assistiti i pazienti. Il fatto che le persone colpite dal virus vengano individuate più velocemente di prima è un fattore che cambia radicalmente la situazione: essere portati in un ospedale ai primi sintomi, anche in un ospedale non attrezzato al meglio, significa essere nutriti e trattati da subito. Moltissime persone, specie nella fase iniziale dell'epidemia, sono morte in stato di completo abbandono nelle zone rurali dell'Africa cento-occidentale o sono arrivate in un pronto soccorso quando le loro condizioni erano disperate. La celerità della risposta al virus, in attesa di una vera cura farmacologica, è in grado di cambiare tutto questo».
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