Dopo la sfida sui dazi/Il grande gioco che rispolvera vecchie alleanze

di Franco Cardini
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Venerdì 16 Marzo 2018, 00:05
Verrebbe voglia di parafrasare il vecchio William Shakespeare: Much Ado About Nothing, “Molto rumor per nulla”. E invece nossignori: non è così. Stavolta il rumore c’è, ed è assordante; ed è per qualcosa. 
Permettetemi un’oziosa premessa da professore di storia, che non vuol dir nulla e non dev’essere accolta come jettatoria (però, se avete un cornetto di corallo da qualche parte dateci una passata: non si sa mai…). Sapete qualcosa della “guerra di San Saba”? E della “guerra di Crimea”? E magari del Great Game? Se non avete mai sentito nominar nulla di tutto ciò, non è grave. Si tratta di due episodi bellici e di una lunghissima tenzone durata quasi un secolo. Nel 1264, veneziani e pisani da una parte e genovesi dall’altra se le dettero di santa ragione nel porto di Acri (oggi Akko in Israele): la rissa coloniale si trasformò in una guerra combattuta nel Tirreno e nell’Adriatico. Nel 1854, un banale incidente in Terrasanta (una stella d’argento trafugata in una basilica dove convivevano cattolici e ortodossi) causò una guerra durata due anni che coinvolse francesi, inglesi e turchi tutti schierati contro la Russia zarista.

Vi s’intrufolò per volontà del conte di Cavour anche il Piemonte, che non c’entrava nulla ma che intendeva lucrare un bonus diplomatico presso le potenze occidentali. Fu la guerra di Crimea, quella della carica di Bataclava; ne fu testimone d’eccezione il conte Tolstoj, in uniforme zarista. Quanto al Great Game, fu la contesa per l’egemonia in Asia giocata tra le truppe russe, che scendevano dalla Siberia, e quelle inglese, che salivano dall’India lungo i passi afghani. Ce l’hanno raccontata Kipling e Verne. E fu una guerra principalmente di spie (guarda guarda…) che per poco non si trasformò in un enorme conflitto eurasiatico. 

<HS9>Che le guerre occidentali comincino in Oriente non è una regola generale, ma quasi: da quando i persiani hanno invaso la Grecia due millenni e mezzo or sono. Ora, che alcuni esuli russi muoiano abbastanza spesso in terra britannica, che il governo inglese reagisca prima con noncuranza e quindi (tuttanbotto, direbbero a Napoli) con repentina energia espellendo – senza produrre grandi prove, a onor del vero – ventitré diplomatici accreditati ma bollati senza complimenti come spie e che un di solito discreto e compassato statista russo reagisca ricordando che “non si minaccia con leggerezza una potenza nucleare”, non è – consentite – cosa da farci dormire su due guanciali. Sarà un fuoco di paglia, d’accordo: ma anche i fuochi di paglia possono esser pericolosi: specie se c’è del combustibile nei paraggi. 

<HS9>E qui ce n’è anche troppo. E si sta accumulando almeno dal 2011, quando un paio d’iniziative non troppo felici – francese di Sarkozy la prima, francoinglese di Hollande e Cameron dall’altra – scatenarono il finimondo, sfruttando l’abbrivio delle cosiddette “primavere arabe”, per toglier di mezzo due statisti per loro ingombranti, il libico Gheddafi e il siriano Assad. In entrambi i casi, l’intenzione strategica era un mutamento di governo e una ridefinizione di territori e d’influenze. Nel primo caso si riuscì ad eliminare l’obiettivo dell’operazione ma non a dare al territorio libico l’assetto auspicato dall’Eliseo e dalla Total. Nel secondo ci s’infilò in un terribile ginepraio nel quale entrarono turchi, curdi, irakeni, iraniani e indirettamente anche sia i russi, sia gli americani, la Nato e Israele. Alla crisi del 2011 tenne dietro, in stretta correlazione, quella siro-curdo-itrakena protagonista della quale fu il “califfato musulmano” detto Isis o più propriamente Daesh, una realtà statuale-terroristica nata nel ’14 e sostenuta da alcune potenze arabo-sunnite, specie quelle affiliate alla setta wahhabita, le quali immisero nella già tormentata questione orientale il veleno della fitna, la guerra civile e religiosa tra sunniti e sciiti.

<HS9>Le vicende di quella che per tre anni è stata presentata come l’operazione di “polizia internazionale” contro i tagliatori di teste del califfo al-Baghdadi , e che si è sempre più chiaramente configurata come un tentativo di mutare sia il regime, sia l’assetto politico-territoriale di Siria e d’Iraq, hanno condotto alla presenza sempre più massiccia nell’area di contingenti sia turchi, sia russi, sia iraniani, sfiorando il coinvolgimento d’Israele, mentre noi la guerra civile in Siria non è stata risolta e noi occidentali abbiamo avuto – grazie ai nostri media – l’impressione che l’Isis/Daesh non esista più e che gran parte di quel che accade in Siria risalga alla responsabilità del governo di Assad che infierisce contro il suo popolo. Risultato: contingenti della Nato impegnati nel Vicino Oriente, sottomarini nucleari russi nella acque siriano-libanesi, Israele quasi mobilitata: frattanto, si sta profilando un’inedita alleanza militare turco-russo-iraniana. Si tratta di un accordo fra tre storici nemici geopolitici: dal Cinquecento chi governa a Istanbul è nemico di chi governa a Mosca (o a San Pietroburgo) e di chi governa a Teheran.

Prodigi della diplomazia occidentale, e negli ultimi mesi in particolare di quella statunitense di Trump bravissimo nel farsi nemici dappertutto? Ma ora, la rapidità della reazione britannica a un supposto (solo supposto, a quel che finora sembra) colpo di mano russo su un esule politico, ha lasciato perplessi. La diplomazia russa ha risposto ironicamente, parlando di un’iniziativa pretestuosa, di un “circo equestre”. Senonché, la repentina – quanto meditata? – discesa in campo di statunitensi, francesi e tedeschi al fianco del governo di Londra ha ricreato d’un tratto un clima da “guerra fredda”. Né gli umori dei britannici sono concordi. Il leader della sinistra Jeremy Corbin ha ricordato che l’ex-spia Aleksandr Litvinbenko fu ucciso in circostanze misteriose nel 2006 ma che solo nel 2014 s’istituì al riguardo una commissione d’inchiesta: il passo di lumaca finora usato stride al confronto con la fulminea rapidità con al quale adesso, nel giro di poche ore, si espellono ben 23 diplomatici e si mette su una coalizione internazionale.

Che tutto ciò abbai a che vedere col fatto che da tempo la City londinese funziona come centro di riciclaggio di molto denaro sporco, tra il quale c’è anche quello di alquanti oligarchi russi compresi alcuni che nell’isola di Albione possiedono perfino squadre di calcio e quotidiani? 
<HS9>Insomma, un Occidente diviso dalla guerra dei dazi scatenata dal neoprotezionista Trump si ricompatta politicamente e riscopre l’Impero del Male di reaganiana e bushista memoria. La revolverata di Sarajevo, in quel lontano luglio del ’14, fece sulle prime quasi meno rumore. Magari non succederà per nulla, sarà un altro Much Ado About Nothing. 
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