È stato il fratello dell’uomo, Cory, che era anche uno degli organizzatori della marcia, a rendersi subito conto che si rischiava una tragedia, e a dire a Mark che era diventato il ricercato numero uno d’America e a consigliargli di consegnare immediatamente la sua arma alla polizia. «Ho rischiato di morire ucciso, ho rischiato che mi sparassero» ha detto Mark più tardi. Ed è vero: sospettato di essere il cecchino, armato com’era, non si può negare che il giovane abbia rischiato grosso. Difatti ha subito ricevuto minacce di morte e sta continuando a riceverle nonostante sia stato del tutto scagionato.
I difensori del diritto dell’”open carry” - il diritto di portare armi in modo palese - non lo ammetteranno mai, ma il terribile malinteso è nato proprio per il fatto che Mark Hughes portava a spalla un fucile d’assalto. Nel Texas, come in tanti altri Stati Usa, è concesso indossare armi al fianco o a spalla, proprio come si faceva ai tempi dei pionieri. E la polizia fa errori. Sia in eccesso di reazione, sia in eccesso di disinteresse.
La manifestazione che si è trasformata in un massacro di poliziotti era stata indetta per protestare contro l’uccisione di due uomini afroamericani – uno in Louisiana e uno in Minnesota – che non avevano fatto nulla di violento o criminale, ma erano legittimi possessori di arma e questo era stato sufficiente a scatenare la paura e l’aggressività violenta dei poliziotti.
Ma è bene ricordare che l’ ”open carry” genera anche errori di tipo contrario: nell’ottobre dello scorso anno una signora di Colorado Springs chiamò la polizia per dire che il suo vicino di casa era uscito portando un fucile a tracolla. Siccome in Colorado c’è l’open carry, i poliziotti non si turbarono granché. Solo pochi minuti più tardi l’uomo, Noah Harpham, uccideva tre persone. Certo, non possiamo dimenticare neanche il fatto che Harpham, poi ucciso in uno scontro a fuoco quando finalmente la polizia è arrivata, era bianco.
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