Le crepe nel granito della stabilità teutonica

di Giuliano da Empoli
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Martedì 19 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 12:22
Tra i flutti in tempesta della politica globale, le elezioni tedesche di domenica prossima si presentano come un’isola di tranquilla razionalità. Nessun effetto speciale, niente scandali, neppure l’ombra di uno scontro di civiltà. Ai primi di settembre, il settimanale Der Spiegel ha raffigurato Angela Merkel e Martin Schulz, i due principali contendenti, addormentati sul ring che avrebbe dovuto ospitare il loro duello, con la cancelliera che addirittura girava ostentatamente le spalle al presunto rivale. «Svegliatevi!» strillava il titolo di copertina, ma non pare che l’appello abbia sortito alcun effetto.

Dopo dodici anni di regno, la donna più potente del mondo appare serenamente avviata alla conferma alla guida della locomotiva d’Europa. E, mentre altrove imperversano i Trump o scalpitano i Macron, uomini nuovi capaci di sovvertire in pochi mesi tradizioni politiche decennali, la Germania si conferma sempre uguale a se stessa. Con Frau Merkel apparentemente destinata a fare il suo ingresso nel pantheon dei leader più longevi della democrazia più stabile dell’occidente, dopo i 14 anni di Konrad Adenauer e i 16 di Helmut Kohl.

Un exploit reso possibile dal pragmatismo e dall’abilità della cancelliera. E cementato dalla persistente avversione manifestata dagli elettori tedeschi nei confronti di qualunque forma di leadership carismatica.

Ma è davvero realistico immaginare che la scena politica della principale potenza europea si sia sottratta una volta per tutte allo spirito del tempo e che possa resistere, immutabile, conservando principi e regole di funzionamento degni degli anni Cinquanta? Con i leader che si affrontano pacatamente sulla scena e gli elettori, fiduciosi e ben disposti, che soppesano tranquillamente i pro e i contro come se il resto dell’Occidente non fosse stato investito negli ultimi anni da un’ondata senza precedenti di paura, di rabbia, di invettive e di fake news?

In verità, sotto il granito della stabilità teutonica si indovinano già i contorni di una realtà più complessa. La svolta risale esattamente a due anni fa. Quando, da una parte, Angela Merkel ha annunciato la decisione del governo di accogliere oltre un milione di rifugiati siriani, generando la prima, massiccia rivolta nei confronti del buonismo internazionalista che ha dominato la politica della Repubblica Federale per oltre settant’anni. E, dall’altra, la Volkswagen è stata costretta ad ammettere di aver truccato i propri motori diesel negli Stati Uniti. Un evento apparentemente meno carico di conseguenze politiche, se non fosse per il fatto che l’industria automobilistica ha concentrato su di sé, nella Germania del dopoguerra, tutte le aspirazioni di potenza che non potevano più essere riversate sulla dimensione politico-militare. E che il settore rappresenta tuttora il 13% del Pil del Paese e il 18% delle esportazioni.

Il Dieselgate ha svelato le fragilità che si nascondono dietro il granito delle apparenze e che attraversano la società tedesca nel suo insieme. Gli economisti stimano che il 40% dei lavoratori, pur disponendo di un reddito, sia sostanzialmente nullatenente (la Germania ha il più basso tasso di proprietari di immobili d’Europa) e che, negli ultimi vent’anni, i salari reali di questa larga fascia di popolazione siano andati costantemente riducendosi. Fino a questo momento, il ritmo della crescita, trainato dall’export, ha impedito che questa situazione degenerasse. Ma la verità è che anche in Germania si stanno creando le condizioni perché si produca quel cortocircuito tra insicurezza socio-culturale generata dall’immigrazione e insicurezza economica che è all’origine della tempesta perfetta che ha sconvolto i sistemi politici dell’intero emisfero occidentale.

Certo, i sondaggi dicono che le elezioni di domenica segneranno con ogni probabilità il successo della stabilità incarnata da Angela Merkel. Ma dicono anche che, salvo sorprese clamorose, una cinquantina di deputati dell’estrema destra farà per la prima volta il suo ingresso nel parlamento federale. La presenza di questo gruppo nell’emiciclo del Bundestag è destinato a rappresentare una prima crepa, vistosa e permanente, nell’edificio del consenso istituzionale che i tedeschi hanno pazientemente edificato nel dopoguerra. E un opportuno memento per tutti coloro i quali dovessero ingenuamente pensare che la Germania sia l’unico Paese al mondo ad essere approdato, una volta per tutte, alla fine della storia.
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