Corea del Nord, l'altolà di Trump: «Kim cerca guai, pronti a colpire». ​Usa: «Avanti anche senza la Cina»

Corea del Nord, l'altolà di Trump: «Kim cerca guai, pronti a colpire». Usa: «Avanti anche senza la Cina»
di Anna Guaita
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Martedì 11 Aprile 2017, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 13:35

NEW YORK Una portaerei con 60 aerei da combattimento e 5 mila soldati, un incrociatore e due cacciatorpedinieri con un carico di 300 missili teleguidati, protetti dal sistema di intercettazione antimissilistico Aegis. La potenza di fuoco che Donald Trump sta inviando sotto le coste della Corea del nord è impressionante e ha il chiaro compito di incutere timore, soprattutto se si tiene conto che nel frattempo le forze di terra sud-coreane si stanno allenando con i colleghi americani a soli quindici chilometri dal confine con il nord.
 

 

LE CONTROMOSSE
Il regime dittatoriale di Pyongyang non ha più dubbi che gli Usa e la Corea del sud stiano preparando un'invasione. Forse lo sospetta anche Pechino se è vero, come è stato riferito da vari media ieri ma negato da Pechino, che 150 mila riservisti cinesi sono stati richiamati in servizio per dislocarli al confine con la Corea del nord nell'ipotesi che davvero avvenga un'invasione e ci siano centinaia di migliaia di profughi nord coreani in fuga verso la confinante Cina. Lo scenario di guerra appare più realistico che nel passato, dopo che Donald Trump ha dimostrato di non aver remore a ricorrere alla forza, come ha fatto contro la Siria per punirla del ricorso alle armi chimiche. Ma il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, ha insistito che il dispiego così muscolare ha solo «carattere di prudenza, un ruolo di deterrenza».

Certo è che sia la Corea del sud che il Giappone hanno accolto con sollievo l'impegno americano. Ognuno dei missili lanciati dal nord in questi ultimi mesi è caduto a meno di duecento chilometri di distanza dalle coste dei due Paesi alleati degli Usa. Lo schieramento militare Usa avviene alla vigilia delle grandi celebrazioni nord coreane in occasione del 105esimo anniversario della nascita del fondatore del regime, Kim Il-sung, il 15 aprile. Per quel giorno, è possibile (ma molti lo danno per scontato) che il regime celebrerà con il lancio di un altro missile e forse con un ennesimo esperimento nucleare. Trump ha già fatto sapere cosa pensa di questa possibilità, con un messaggino via twitter dall'eco apertamente minaccioso: «La Corea del nord cerca guai. Se la Cina decidesse di aiutare, sarebbe un bene, sennò risolveremo il problema senza di loro».

LA SFIDA CONTINUA
La risposta della Corea davanti al dispiego delle forze e alle minacce di Trump è stata tuttavia di continua sfida. «Se gli Usa osano optare per una azione militare, come un attacco preventivo o la rimozione del quartier generale, la Corea del Nord è pronta a reagire a ogni tipo di guerra desiderato dagli Usa, compreso l'attacco nucleare», ha comunicato l'agenzia di Stato di Pyongyang, aggiungendo che l'attuale «drammatica situazione» prova «che la Corea del Nord era totalmente nel giusto» nel creare un sistema difensivo nucleare. Le feste nordcoreane dureranno per il resto del mese: dopo la parata del 15 aprile ce ne sarà un'altra il 25 per l'85esimo anniversario della fondazione dell'esercito popolare nordcoreano.

IPOTESI DIALOGO
In occasione di queste scadenze patriottiche il regime ha tenuto l'annuale riunione della Assemblea Suprema del Popolo, la quinta da quando Kim Jong-un è stato nominato presidente del partito del popolo. E durante la sessione parlamentare è stato riportato in vita il Comitato degli affari esteri, abolito negli anni Novanta. La decisione spinge i più ottimisti a credere che il regime speri di riaprire un dialogo diplomatico. Ma solo la Cina potrebbe aiutare a capire se ci sia una simile possibilità. Il comportamento di Pechino per ora appare misterioso: al summit di Miami fra Xi Jinping e Trump, il presidente cinese avrebbe convenuto con il presidente Usa che il programma nucleare coreano è «un pericolo», almeno così sostiene il segretario di Stato Rex Tillerson che era presente ai colloqui. E tuttavia, da Pechino non è arrivato nessun segnale di imminenti iniziative di pressioni su Pyongyang, solo le voci della mobilitazione dei 150 mila riservisti ai confini.

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