Colombo decapitato negli Usa, l’ultima guerra dei neoselvaggi

di Mario Ajello
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Sabato 2 Settembre 2017, 00:03
Fa parte del folklore pseudo-progressista americano prendersela con Cristoforo Colombo. Ma ora, tra statue decapitate e altri deliri, si sta proprio esagerando. Fino al ridicolo politicamente corretto incarnato non da oggi, ma stavolta più di sempre, dal sindaco di New York, Bill De Blasio. 

Il quale in questa occasione, immemore delle sue radici di cui si riempie la bocca solo in maniera retorica e mai sostanziale, fa valere più la propria ideologia terzomondista e anti-occidentale che il proprio ruolo istituzionale e la propria storia di italiano (la sua famiglia viene da Sant’Agata dei Goti, Benevento) e di americano. Doveva opporsi fermamente e invece vezzeggia e sostiene, convinto che Colombo sia «una figura controversa», l’idea di demolire il famoso monumento eretto in onore dell’America all’ingresso del Central Park. 

Non siamo nella Pazza storia del modo, il film di Mel Brooks, ma forse sì. E i De Blasio d’America e di Oltreoceano, questi esponenti del revisionismo democraticista più insensato, finiscono per somigliare alla versione seria (si fa per dire) di Roberto Benigni quando, vestito con costumi rinascimentali in Non ci resta che piangere, elenca spiritosamente a Massimo Troisi i luoghi comuni su Colombo «sterminatore di indios»: «Trac, trac, li ha fatti secchi tutti!». 

E poi bisognerebbe ricordare a chi vede in Colombo un «suprematista bianco», un orrido colonialista, addirittura l’«Hitler del XV secolo», che la scoperta dell’America è stata invece la «scoperta dell’altro», un momento straordinario di apertura dei confini mentali oltre che geografici, come spiega tra l’altro un classico sull’argomento, opera di Tzvetan Todorov, l’intellettuale adorato dalla cultura di sinistra e scomparso meno di un anno fa. Sinistra per sinistra, verrebbe da cantare a questo punto una delle più belle canzoni di Francesco Guccini sull’eroe della Nina, della Pinta e della Santa Maria che «ha trovato una strada di stelle / nel cielo dell’anima sua». Qui si tratta però di indicare una piaga. Quella dell’Occidente che nega la propria storia e la propria identità (sempre più sbiadita anche a causa dei nostri ingiustificati sensi di colpa) e imputa a Colombo un’ovvietà. Quella di essere figlio del suo tempo e di considerare gli indigeni per quello che erano. 

Se va eliminato Colombo, gli americani dovrebbero fare la stessa cosa con Roosevelt. Visto che fu il grande presidente democratico a parlare così: «Io non arrivo al punto di credere che gli indiani buoni siano soltanto quelli morti ma in nove casi su dieci è così. E non vorrei indagare troppo a fondo sul decimo». Ai revisionisti anti-Colombo, persi nei loro voli da anime belle, andrebbe poi ricordato che la loro purezza iper-democraticista è parente del Ku Klux Klan. A danneggiare le statue di Colombo furono per primi i razzisti della destra più destra, che imputavano al navigatore genovese di aver aperto la via dell’America agli emigrati italiani, a quei calabresi e siciliani «neri quasi quanto i negri». 

Colombo non piace perché nella stessa idea di scoperta il politicamente corretto vede una sorta di sopraffazione rispetto alla stato di natura. Ovvero il buon selvaggio deve restare buon selvaggio (bel concetto di emancipazione!). E nel tiro a segno contro questo grande italiano è ravvisabile anche una vena di anti-europeismo, travestito da anti-colonialismo, da parte di chi magari avrebbe preferito che la storia fosse andata al contrario. Ossia che fosse stata l’America a scoprire l’Europa, come in quel raccontino strepitoso di Achille Campanile (in «Vite degli uomini illustri»), nel quale si immagina che due anni prima del 1492 un imperatore maya diede questo ordine a un giovane marinaio: «Spima rgozeta firanolt s’amurai!» (traduzione: salpa e scopri altre terre). Quello parte, appena arriva nel nuovo mondo europeo gli viene chiesto «come ti chiami?» e lui: «Cristoforo Colombo». 

Ma questa è satira, mentre la crociata anti-Colombo - contro la quale l’Italia dovrebbe alzare la voce molto di più - è tristezza. E si basa su un falso: che egli fosse un conquistatore, e invece era un navigatore. Se commise delle atrocità, furono fatti episodici e che rientrano nella storia. Ed è inutile dire che questa offensiva iconoclasta contro certi grandi personaggi del passato, compresi i generali sudisti presi di mira in queste settimane, cerca d’inabissare l’Occidente in una damnatio memoriae. Che significa la decapitazione non di una testa o di un’altra (si parla di nuche di marmo e di bronzo, naturalmente) ma in generale di ciò che è stato e che è il nostro mondo. 

Una scenetta di «La scoperta de l’America», il poema romanesco di Cesare Pascarella, spiega tutto. L’autore racconta così il primo incontro di Colombo con un indigeno. Si presentò «un uomo buffo, mezzo ignudo, co’ ‘na cresta / tutta formata da penne d’uccello». Colombo gli si avvicina e gli fa: «E tu chi sei?». «E chi ho da esse’», gli risponde il pellerossa: «So’ un servaggio!». Oggi i selvaggi, sia pure in pose radical chic, sono quelli che manipolano la storia.
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