Usa 2016/ Clinton e Trump, strada spianata

di Massimo Teodori
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Giovedì 21 Aprile 2016, 00:56
Con le primarie dello Stato di New York il gioco è quasi fatto per entrambi i candidati che a novembre si contenderanno la presidenza degli Stati Uniti. Hillary Clinton sarà probabilmente la candidata dei Democratici avendo superato, se pure con fatica, l’avversario di partito Bernie Sanders; e Donald Trump, che ha sbaragliato gli altri candidati Repubblicani, da Jeb Bush a Marco Rubio, da Ted Cruz a John Kasich, potrà essere il candidato dei Repubblicani a meno che si arrivi alla Convenzione nazionale del 18 luglio senza una maggioranza precostituita e si mettano in moto sconvolgimenti imprevedibili.

A partire dalle ipotesi di nomination nei due partiti, i sondaggi prevedono che al voto finale dell’8 novembre prevarrà la ex First Lady sul tycoon di New York. Così, dopo il primo Afroamerican President entrerebbe alla Casa bianca la prima Woman President della storia americana, un’altra prova del potenziale di novità insito nel sistema elettorale presidenziale iscritto nell’antica Costituzione del 1787.

Al di là dei risultati di New York, le primarie hanno fin qui trasmesso un messaggio di trasformazione della scena politica e dei caratteri dei partiti Democratico e Repubblicano. Le singolari affermazioni di Trump e Sanders, del tutto impreviste, hanno un significato analogo non tanto perché sono state etichettate “populismo” di destra e di sinistra, quanto perché hanno rivelato la diffusa inquietudine insita nella società americana.

Si sono indirizzate a Trump quelle sezioni della classe media impoverita che costituiscono il principale bacino dell’elettorato bianco. La molla che ha mosso il trumpismo è stata la rabbia contro l’establishment di Washington, intendendo con questo termine l’elite conservatrice del potere politico che non avrebbe saputo difendere a sufficienza l’American Way of Life e l’orgoglio del “Credo americano” dei bianchi a fronte dell’avanzata politica e sociale dei non bianchi.
 
Dall’altra parte, tra i Democratici, hanno votato per Sanders le masse giovanili insicure del futuro dimostrando uno slancio che ha messo in pericolo la stessa candidatura della Clinton sostenuta da massicci finanziamenti e dall’apparato di partito. L’anziano senatore del Vermont, con un messaggio “socialdemocratico” all’europea, in contrasto con la cultura individualista e antistatalista dell’America, ha sostenuto un maggiore intervento pubblico nel welfare e una più decisa lotta alla diseguaglianza sociale che tuttora getta un’ombra sulla più ricca nazione del mondo.

È difficile dire quel che farà il futuro presidente: chi arriva al vertice degli Stati Uniti - e del mondo - muta spesso convincimenti e obiettivi rispetto al passato. Il curriculum politico di Hillary Clinton non è affine a quello di Obama specialmente in politica estera dove ha seguito la tradizione dell’interventismo democratico mentre l’attuale presidente si è attestato, soprattutto nell’ultimo anno, sulla strategia del dialogo mettendo da parte la supremazia della forza militare americana.

Nonostante le incertezze, su un aspetto della futura politica presidenziale si può tuttavia avanzare una previsione. Non potranno essere ignorate le istanze che si sono manifestate attraverso i candidati “populisti”. Con Trump è emersa la rabbia anti-establishment della classe media impoverita e l’ostilità dei bianchi conservatori verso l’immigrazione per cui il partito Repubblicano non sarà più quello del passato. Con Sanders sono balzati in primo piano i problemi del futuro dei giovani e le aspirazioni dei più poveri a un maggiore benessere, istanze che difficilmente il presidente Democratico potrà rigettare.
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