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La firma del Ceta/Senza l’accordo con il Canada Ttip impossibile

Articolo riservato agli abbonati
2 Novembre 2016 di Giulio Sapelli (Lettura 4 minuti)
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Domenica 30 ottobre è stato firmato l’accordo di libero scambio tra Europa e Canada, il cosiddetto Ceta, che permetterà all’Unione di entrare nel mercato unico nordamericano. 

Un mercato istituito attraverso gli accordi Nafta tra Canada, Stati Uniti e Messico. Ma il tutto è avvenuto attraverso un susseguirsi di avvenimenti a dir poco singolari che meritano alcune riflessioni.
L’intesa raggiunta permette all’Ue di avere uno strumento negoziale di riferimento che sarà fondamentale nei nuovi processi negoziali del Ttip, l’accordo per il libero scambio e gli investimenti in fase di discussione con gli Stati Uniti. Il trattato, per entrare effettivamente in vigore, ha però bisogno della ratifica dei 28 Parlamenti nazionali. Solo allora potrà essere davvero vincolante, anche se non pare che ci saranno sorprese negative: richiederà però del tempo. Sicché si è deciso che, in attesa di tutti i via libera, il Ceta potrà entrare in vigore in via provvisoria, dopo che i ministri dei 28 avranno dato il loro assenso e dopo che lo avrà dato anche la Plenaria del Parlamento europeo, probabilmente già il prossimo gennaio (nella sessione fissata tra il 16 e il 19). 

Si tratta dunque di un’applicazione provvisoria del Ceta, con la conseguenza che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si dovrà pronunciare sulla compatibilità dell’accordo: vale qui la pena ricordare un precedente.
Martedì 5 luglio il ministro italiano dello Sviluppo, Carlo Calenda, aveva pronunciato una dichiarazione che l’indomani nessun organo di stampa europeo aveva curiosamente riportato. In essa si sottolineava la decisione, senza precedenti, della Commissione europea, assunta nonostante non vi fosse unità di punti di vista, di qualificare il Ceta come “accordo misto” e pertanto da sottoporre alla ratifica di circa 28 assemblee parlamentari degli Stati membri e questo perché, nel barocco linguaggio giuridico eurocratico, un accordo “a carattere misto” ricade sotto la competenza non esclusiva della Ue, ma concorrente con gli Stati membri.

Si dichiarava quindi che tale decisione rappresentava un ulteriore danno alla costruzione europea e un decisivo passo verso lo stallo della politica commerciale dell’Unione. A sua volta l’Italia si era detta pronta ad appoggiare un processo di approvazione europeo che avrebbe dovuto prevedere il voto favorevole del Consiglio e del Parlamento. Una procedura prevista dai trattati. Le assemblee parlamentari nazionali sarebbero state, anche in questo caso, pienamente legittimate a dibattere i contenuti del Ceta prima della decisione del Consiglio e a dare indicazioni ai governi circa la posizione da tenere in quella sede. Va detto che l’accordo con il Canada è il migliore mai siglato dall’Unione europea e contiene tra l’altro il riconoscimento delle più importanti Dop e Igp italiane e un ampio accesso al mercato degli appalti pubblici e dei servizi; entrambi obiettivi non ancora raggiunti nel negoziato con gli Stati Uniti. 

Ora il processo di ratifica rischia però di durare anni oltre al fatto che basterà il voto negativo di una sola assemblea parlamentare nazionale per farlo cadere. C’è da chiedersi come l’Europa potrà ancora essere considerata un partner negoziale credibile. Ed è davvero un segnale non previsto che la Commissione abbia ceduto alle pressioni degli Stati membri rinunciando alle proprie prerogative e affermando, nello stesso momento, che la natura giuridica dell’accordo è «Eu only», ma che non si ha la forza di presentarlo come tale agli Stati membri. Infatti, questa interpretazione restrittiva era prevalsa anche prima del caso Vallonia (che in un primo tempo aveva votato contro), riducendo quel voto negativo a semplice episodio della guerra per procura contro il Ceta combattuta su indicazione franco-tedesca in una sorta di ipocrisia e di irresponsabilità che francamente lascia perplessi.

Nessuno, del resto, ha ricordato che ben prima del gesto vallone l’antemurale della difesa giuridica tedesca aveva alzato a zero le sue Berte cannoneggiando tutte le più importanti clausole del Ceta affermando che l’accordo poteva essere approvato fermo restando l’esame del Bundestag in ordine ad alcune questioni. La Corte Costituzionale tedesca era peraltro stata chiamata a pronunciarsi sulla conformità del trattato ai principi costituzionali tedeschi e aveva affermato che la Germania avrebbe potuto dare il consenso purché si riservasse il diritto di uscire in ogni momento. 

La decisione assunta dalla Commissione Ue segna, nonostante tutto, una svolta nel lungo cammino che forse è ancora possibile percorrere per salvare l’Europa riformandola e non assistendo impassibili alla sua distruzione per i conflitti interni e soprattutto tra alcuni Stati e la Germania.
Il Parlamento europeo acquista così un ruolo centrale che sino ad ora non aveva avuto e l’ Italia ha svolto un ruolo decisivo sia nei confronti del Canada sia nei confronti degli Stati Uniti. Ma è essenziale che questo risultato ora non si disperda con il rallentamento delle procedure di approvazione Stato per Stato. È necessario uno scatto di reni che rapidamente porti al voto favorevole di un provvedimento internazionalmente cruciale, che segna inoltre un passo importante nel ravvicinamento commerciale e quindi diplomatico tra Europa e Stati Uniti, indispensabile se si vuole uscire dalla crisi economica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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