Il candidato Usa/Sanders in Vaticano, il Papa non lo riceve

di Mario Del Pero
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Sabato 16 Aprile 2016, 00:07
Bernie Sanders ha sorpreso molti con la sua decisione. La decisione di sospendere per un giorno la campagna elettorale e volare a Roma per partecipare alla conferenza organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali in occasione del venticiquennale dell’enciclica “Centesimus Annus”. Una conferenza di taglio piuttosto accademico, questa, durante la quale Sanders parlerà per una quindicina di minuti su “l’urgenza di un’economia morale”. Nelle intenzioni del senatore del Vermont e del suo entourage l’evento dovrebbe però garantire un preciso ritorno politico e d’immagine, spendibile anche nell’immediato delle primarie. 
Papa Francesco è infatti figura molto popolare negli Stati Uniti; i sondaggi Gallup immediatemente successivi al suo viaggio americano dell’autunno scorso indicavano come ben il 70% degli americani avesse un’opinione favorevole su di lui e appena il 17% lo giudicasse invece negativamente; Sanders non manca occasione per rivendicare la convergenza di vedute con Francesco - del quale si proclama “grande fan” - e il comune impegno contro la diseguaglianza: «A quelli che sostengono che Sanders sia radicale», ha affermato l’aspirante Presidente, «consiglio di leggere ciò che dice il Papa». 
Ecco perché il viaggio italiano rappresenta tutto fuorché un diversivo rispetto alla competizione, fattasi sorprendentemente serrata, per la nomination democratica. Le possibilità di Sanders di sconfiggere Hillary Clinton rimangono in realtà assai esigue. E dipendono in modo decisivo da una vittoria alle primarie di New York del 19 aprile prossimo. Quello di New York è uno degli Stati dove maggiore è la presenza di cattolici, che costituiscono quasi il 40% della popolazione totale (sono tra il 20 e il 25% a livello nazionale). Pochi giorni più tardi si tornerà a votare in altri Stati a consistente maggioranza cattolica, come il piccolo Rhode Island (54% di cattolici), il Connecticut (40%) e la Pennsylvania (29%). Vi sembra essere, in altre parole, un calcolo politico preciso e piuttosto disinvolto.
E però vi sono anche dei rischi di fronte a una decisione che potrebbe portare pochi vantaggi a Sanders e rivelarsi, al contrario, addirittura controproducente. Vi è in primo luogo la realtà di un mondo cattolico statunitense oggi assai complesso ed eterogeneo, sempre meno condizionato nelle sue scelte di voto dall’affiliazione religiosa. Un elettorato, questo, non necessariamente ricettivo al messaggio sociale del Papa e, ancor meno, al tentativo di Sanders di appropriarsene.

 
In fondo, lo Stato a maggiore presenza cattolica (41%) dove finora si è votato, il Massachusetts, è anche quello in cui Hillary Clinton ha ottenuto il miglior risultato fuori dal Sud, dove l’ex segretario di Stato ha dominato la contesa e costruito la solida maggioranza di delegati di cui dispone oggi. In secondo luogo va aggiunto il rischio che quella di Sanders sembri un’iniziativa patentemente strumentale: appaia espressione di quella politica spregiudicata contro la quale il senatore del Vermont tuona quotidianamente. Sanders - che sarebbe il primo ebreo candidato alla Presidenza da uno dei due principali partiti - è stato fino ad ora molto attento a evitare di portare la religione dentro il dibattito elettorale, venendo addirittura criticato per la presunta ritrosia a riconoscere la sua ebraicità. 
In una campagna elettorale costruita in contrapposizione al freddo cinismo della Clinton, il viaggio romano sembra però normalizzare e in una certa misura finanche abbruttire Sanders. Forse è l’effetto inevitabile dell’asprezza delle primarie; o forse l’aura di santità di cui si è spesso ammantato il senatore del Vermont appartiene più ai luoghi della sua prossima visita che a quelli, terreni e brutali, dello scontro politico. 
 
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