Effetto Brexit, Europa già divisa

Effetto Brexit, Europa già divisa
di Francesca Pierantozzi
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Domenica 26 Giugno 2016, 09:11 - Ultimo aggiornamento: 13:43

PARIGI Gli inglesi partono, le divisioni restano. Incorreggibile Europa: dopo i disaccordi su crescita, rigore, controllo di bilancio, unione bancaria e migranti, mancava soltanto il divorzio dal Regno Unito ad alimentare le innate divergenze dei futuri Ventisette. Lungi dal ricompattare - almeno per ora - la squadra, la nuova Brexit ripropone antiche divisioni e noti schieramenti. Con la solita linea Maginot tra Francia e Germania. Come salvare (e possibilmente rilanciare) l'Europa amputata dell'Inghilterra? Con più integrazione economica e solidarietà, come vorrebbero i francesi? Con maggiori trasferimenti di sovranità e prudenza di bilancio, come al solito auspicano i tedeschi? Meglio accelerare e spingere al più presto gli inglesi alla porta, come si chiede al sud? Prendere tempo, evitare di precipitarsi, avanzare gemeinsam, insieme, come si propende al nord?

GLI OBIETTIVI
Ieri i figli dei padri fondatori (nella fattispecie i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo riuniti a Berlino) hanno fatto una prova generale di dichiarazione comune, che ha suonato più o meno così: «Cominciamo le procedure il prima possibile». Per andare dove? Come? Tutto da vedere anche perhè alcuni Paesi, Germania in testa con i Paesi nordici non mettono fretta a Londra nella sua uscita dalla Ue. Se ne parlerà domani a Berlino (di nuovo), tra Merkel, Hollande, Renzi e Tusk, e poi a Bruxelles, al consiglio di martedì e mercoledì.

E poi di nuovo, per mesi, anni, almeno due, quanti ne serviranno, come minimo, per finalizzare la separazione, e almeno cinque o sei, quanti ne serviranno, come minimo, per annullare, rinegoziare e riscrivere decine di migliaia di trattati e accordi commerciali. La lettera da Londra con la richiesta formale di divorzio non è ancora stata spedita che già sono cominciate le scaramucce sulla risposta. La mancanza di precedenti non basta da sola a spiegare l'ordine sparso con cui stati e istituzioni guardano oltremanica. Il Parlamento è stato finora l'unico istituto a dare una risposta veloce e chiara: inutile temporeggiare, tempi rapidissimi per il recesso britannico. Sul versante della Commissione, Jean-Claude Juncker fatica a farsi sentire, nonostante i suoi toni continuino a salire.

Tra «Unione Europea e Regno Unito non ci sarà un divorzio consensuale, ma non c'è stata neppure una grande storia d'amore», ha detto ieri il presidente della Commissione in un'intervista alla tv pubblica tedesca Ard. Nei nuovi, difficili, equilibri, che si immaginano nell'Europa a 27, il suo ruolo di fervente partigiano di una maggiore integrazione è per ora quello più in bilico. Non invitato a Berlino da Merkel con Hollande, Renzi e Tusk, Juncker ha subito chiarito che «l'Europa non sarà determinata in futuro da nessun altro trio, così come non è stata determinata dalla Gran Bretagna».

 

Rischia però di essere sempre più determinata dalla Germania, ormai abbandonata dal suo alleato più liberal, alle prese con una Francia che considera troppo debole, fiaccata da terrorismo, scioperi, finanze traballanti e le prossime elezioni, tra meno di un anno. A Hollande, che ha letto la Brexit come un invito a «concentrarsi sull'essenziale», a rilanciare «gli investimenti per la crescita e loccupazione» e a «rafforzare la zona euro», Merkel risponde respingendo «le soluzioni rapide e semplici che dividerebbero ancora di più l'Europa». E cerca una mano per trainare quest'Europa più pesante senza gli inglesi: la Francia di Hollande non basta, a Berlino ci sarà anche l'Italia di Renzi.

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