Per i parenti di una donna che aveva dato alla luce un bambino morto, la trentenne ginecologa Sabina Mota era un'assassina. Il piccolo andava vendicato e lei doveva essere torturata.
E così si sono presentati fuori dall'ospedale della città di Zamora, nello stato messicano di Michaocan de Ocampo, per rapirla. Il medico aveva finito il turno di notte nel reparto maternità e stava per tornare a casa quando è stata aggredita da un gruppo di persone che l'ha costretta a salire su un'auto e l'ha portata in un edificio abbandonato.
La donna è stata obbligata a prendere dei miorilassanti che le hanno reso impossibile reagire. Dopo è iniziata la tortura. E’ stata picchiata, ha subìto l’amputazione di due dita e incisioni sul basso ventre. Secondo il portavoce della polizia, Ulpio Fonseca, gli aggressori hanno tentato di asportarle le ovaie e l'utero. Prima di incatenarla, l’hanno costretta a scrivere su un muro, con il proprio sangue, un avvertimento per i colleghi dell'ospedale. Dopo un massacro durato ore, il gruppo si è allontanato lasciandola in uno stato di stordimento e ancora sotto l'effetto dei miorilassanti. Solo quando ha ripreso coscienza ha iniziato a urlare e a chiedere aiuto: alcune persone che abitavano vicino all'edificio l’hanno sentita.
La polizia ritiene che dietro le torture ci sia la famiglia del piccolo morto 3 settimane prima. Per adesso, tuttavia, non c'è nessun colpevole, visto che i parenti del bambino si sono resi irrintracciabili e sono spariti.
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