Attenti alle mode/Ma le grandi coalizioni non sono morte

di Mario Ajello
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Martedì 26 Settembre 2017, 00:25
Tutti a prendersela con le grandi, o anche piccole, coalizioni. In Germania è andata come è andata, malissimo per i socialdemocratici e non molto bene per la Merkel? La colpa è dell’alleanza tra i loro due partiti, così comincia a ripetere il coro del ritorno al bipolarismo, allo schema destra-sinistra come entità inconciliabili, all’idea che solo le barriere - ma ognuno la sua - possano fermare l’avanzata dei populismi. E tuttavia è un errore considerare morte le coalizioni.

Anche perché, in quasi tutti i Paesi europei all’epoca della frammentazione politica, la logica dell’allargamento e della condivisione, quella che tra infinite difficoltà rivedremo in Germania con verdi e liberali al posto dei socialdemocratici, che vige in Olanda pur non essendoci un governo vero e proprio (ma l’economia vola), che esiste in Grecia addirittura in rosso-nero (Tsipras più i nazionalisti di Anel) e che c’è in Svezia e dopo le elezioni del 15 ottobre magari ci sarà anche in Austria, sembra essere di fatto la più realistica rispetto al vagheggiamento, legittimo e comprensibilissimo, di un ritorno a bipolarismi al momento impraticabili. E dunque dalla classica Grosse koalition (che comunque alla luce dei risultati elettorali avrebbe ancora maggioranza in Parlamento, ma la Spd non ne vuole sapere) alla Kleine koalition (piccola coalizione) e non si vede che cos’altro si dovrebbe fare. 

Sicuramente si dovrebbe smettere di descrivere l’accordo con gli avversari come sintomo di una democrazia malata, affetta dall’orrido morbo del consociativismo (per dirla all’italiana) o del compromesso al ribasso o dell’arroccamento sterile e perdente. Il coalizionismo nelle sue varie forme, ma a patto che poggi su basi chiare, è diventato una risorsa dettata dalla necessità. E non fornisce alcuna riprova fattuale la tesi di chi dice, e a sinistra a cominciare da Martin Schulz sono in molti a ribadirlo in queste ore anche in Italia, che non le grandi coalizioni ma il confronto duro tra opposti e il rigido criterio dell’alternanza sono l’unico modo per battere gli estremismi. Che poi l’Italia si possa avviare o no a uno schema coalizionale dopo le prossime elezioni dipende da tante cose, ma il governo Gentiloni (che negli indici di gradimento popolare sta andando piuttosto bene) proprio di un governo coalizionale si tratta. Per non dire dei primi anni della Repubblica, ‘44-‘47, in cui la Costituzione nacque in una fase di esecutivo allargato ai comunisti di Togliatti. 

Un patto limpido tra forze politiche diverse, e in Germania per esempio verdi e liberali sono agli antipodi, si può fare benissimo e questo tipo di soluzioni sono molto spesso le uniche soluzioni sul piatto. Lo riconosceva anche Alcide De Gasperi - lo statista trentino, e lo chiamavano il tedesco - in una famosa lettera a Pio XII in cui spiegava come la Dc non potesse governare da sola. Il grande o piccolo coalizionismo - perfino il coalizionismo di minoranza come quello spagnolo che è appeso a due voti di eletti alle Canarie e in cui convivono i Ciudadanos diventati molto anti-catalanisti e il partitino dei baschi che appoggia l’indipendentismo di Barcellona - sembra oltretutto in linea al momento attuale, in cui va tramontando in molti Paesi il profilo del leader carismatico e dell’Iper-personalizzazione del comando.

E emerge viceversa la figura, magari più grigia, del mediatore fragile ma resilente. Se poi coalizionismo viene tradotto, come nel caso dei socialdemocratici tedeschi, in subalternità e tendenza a farsi cannibalizzare (arte in cui la Merkel si è dimostrata abilissima in questi decenni), il problema sta nei soggetti politici che lo praticano e non nella forma di governo in sé. Che è soltanto uno degli strumenti della politica e non tra i peggiori, rileggendo la storia. Anche se ha bisogno di estremo professionismo politico (la duttilità che non significa cedevolezza, una visione comune sia pure nelle differenze) e di numeri parlamentari adatti (solo per fare un esempio: il Pd e Forza Italia, secondo i sondaggi, oggi non raggiungerebbero la quota per un esecutivo in tandem). 
E dunque, considerare lo spirito da grande coalizione un capriccio, quando gli ex partitoni storici arrancano o peggio (basti pensare ai socialisti greci semi-spariti, quelli francesi distrutti e quelli tedeschi tracollati) e da fuori crescono le spinte dei movimenti populisti, sembra un atteggiamento insieme auto-lesionistico e anti-storico.
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