Il Califfato, il marketing dell’orrore

di Carlo Jean
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Venerdì 26 Giugno 2015, 23:02 - Ultimo aggiornamento: 23:59
Venerdì 26 gli jihadisti sono stati particolarmente impegnati, forse per “celebrare”, a modo loro, l’inizio del Ramadan. Gli attentati sono stati 4. Il primo in Tunisia, in una località balneare (37 morti, quasi tutti turisti europei). Il secondo in Kuwait, in cui un terrorista ha fatto esplodere una bomba in una moschea piena di fedeli (25 morti sciiti, che l’Isis considera eretici da distruggere). Il terzo in Francia, in uno stabilimento di bombole di gas liquido, il cui proprietario è stato decapitato. Quest’ultimo attentato è particolare. Forse non ha nulla a che vedere con il terrorismo islamista. L’attentatore - un musulmano - era stato recentemente licenziato. Forse ha voluto vendicarsi, anche se, con la decapitazione della vittima e la posa di una bandiera nera, può aver cercato di “nobilitare” il suo delitto con i segni del Califfato. E in Somalia un’autobomba fa strage di soldati della forza di pace africana.



Verosimilmente, i quattro attentati non sono connessi fra loro. Anche quello tunisino è stato rivendicato dall’Isis, sempre pronto a sfruttare ogni occasione per farsi propaganda e per dimostrare la sua invincibilità. Tutti e tre sono stati condotti con mezzi semplici, che non richiedono particolare addestramento.



L’attentato sulla spiaggia di Sousse, nota località balneare situata a circa 100 km a Sud di Tunisi, segue di circa tre mesi quello del Museo del Bardo, nel quale persero la vita anche quattro turisti italiani. Esso colpisce duramente l’economia del paese che dette origine alla “primavera araba” e che è l’unico che non è piombato nel caos come la Libia o nella controrivoluzione autoritaria, come l’Egitto. È però anche il paese che fornisce all’Isis il più elevato numero di foreign fighters, in rapporto alla popolazione. Solitamente sono giovani disoccupati, disillusi dalle loro prospettive di vita. Prima di raggiungere la Siria o l’Iraq, vengono addestrati in Libia, in campi d’addestramento situati soprattutto a Sud di Derna e di Sirte. Il bacino di reclute maghrebine per lo jihadismo è molto ampio. Da un sondaggio del Pew Research Centre del 2013 è risultato che il 51% della popolazione con meno di 30 anni è favorevole alla jihad. Sono attirati soprattutto dall’Isis, anche per lo stipendio e le migliori condizioni di vita che offre, a differenza dell’ascetismo di al-Qaeda. Gli sforzi fatti dai vari governi di Tunisi per distruggere le reti di reclutatori hanno avuto poca efficacia. Il reclutamento jihadista era fiorente anche sotto il regime autoritario di Ben Alì. Percentualmente, rispetto agli abitanti, la Tunisia era inferiore solo alla Libia nel fornire guerriglieri contro le forze americane in Iraq.



La propaganda dell’Isis è molto efficace e attira molte reclute. Per il Califfato è una necessità strategica. Perde mensilmente 800-900 combattenti. Deve reclutarne almeno un migliaio per mantenere a livello i suoi effettivi. Non ha le forze sufficienti per presidiare il territorio, senza il quale non potrebbe esistere il Califfato, raffigurato nella sua propaganda come il “paradiso in terra”. Nel 2015, ha subito varie sconfitte - a Kobane, a Tikrit e, recentemente, a Derna. Il mantenimento del prestigio costituisce per il Califfo Ibrahim - nome assunto da Abu Bakr al-Baghdadi - una condizione indispensabile per la sopravvivenza dell’Isis. Per ottenere tale risultato deve dimostrarsi attivo e vittorioso. La manipolazione mediatica può far molto, ma non è sufficiente se non è accompagnata da qualche successo. Non può più ottenerlo con le vittorie del 2014 a Mosul e nella provincia di Anbar. Deve ricorrere sempre maggiormente ad attentati, anche per dimostrarsi più bravo di al-Qaeda e vincerne la concorrenza. La sua legittimità si basa sulla profezia di Maometto, secondo cui dopo la fitna, lotta all’interno dell’Islam, seguirà la vittoria della “vera fede” e poi l’apocalisse. Essa l’obbliga ad essere sempre all’offensiva. In caso contrario, perderebbe i suoi seguaci e sarebbe sconfitto, come già lo fu il predecessore di al-Baghdadi, il giordano al-Zarqawi, dal “risveglio sunnita” e dal surge americano in Iraq del 2007-08.



Le località turistiche costituiscono obiettivi particolarmente attraenti per gli jihadisti. Coinvolgono sempre cittadini occidentali, garantendo una diffusa copertura mediatica. Colpiscono economicamente i paesi attaccati, impedendo la stabilizzazione dei loro regimi. Infine, le località turistiche sono difficilmente difendibili. È impossibile difenderle tutte, anche perché misure di sicurezza troppo strette finirebbero per far fuggire i turisti. Il problema che deve affrontare l’Occidente è come evitare che l’attentato di Sousse provochi una destabilizzazione in Tunisia, unico paese della sponda Sud del Mediterraneo su cui possiamo completamente contare. Aiuti economici sono indispensabili, ma non sufficienti. Occorre un sostegno alle forze di sicurezza tunisine, non solo con la fornitura di armi, equipaggiamenti e munizioni, ma anche con azioni di rappresaglia, da concordare con il governo di Tunisi, che sempre ha collaborato con noi per la sicurezza del Mediterraneo. Forse solo attacchi aerei massicci potrebbero indurre i professionisti della comunicazione dell’Isis a non cantare troppo vittoria.