«Armi ai libici contro gli scafisti» Roma vuole la fine dell'embargo

«Armi ai libici contro gli scafisti» Roma vuole la fine dell'embargo
di Marco Ventura
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Venerdì 6 Luglio 2018, 07:28
Fine dell'embargo sulle armi per Tripoli, missione italiana-europea nel Fezzan, Sud della Libia, per coinvolgere le tribù nel controllo dei flussi di migranti dal Sahel, e netta scelta di campo italiana a favore delle «legittime autorità libiche», dal presidente del governo di accordo nazionale Fayyez Al-Serraj. Anche sul fronte dei proventi del petrolio che il generale Haftar, uomo forte di Bengasi vicino ai francesi e rivale di Al-Serraj, ha messo nelle mani di un governo non riconosciuto, quello di Beida, dopo aver vinto la guerra per la mezzaluna petrolifera e acquisito Derna, Al Sidra e Ras Lanuf.

L'INCONTRO
Uno scontro a tutto campo Italia-Francia per la Libia quello emerso ieri nell'incontro fra Matteo Salvini e l'omologo vicepremier di Tripoli, Ahmed Maiteeq. Sul piatto lo scambio tra mezzi navali e armi ai libici, mettendo fine a un embargo che finora ha favorito solo il generale Haftar sostenuto da Parigi, e l'impegno della guardia costiera di Tripoli a stroncare militarmente il traffico di migranti sulla costa. È a Haftar e alla Francia che si riferisce Salvini quando dice: «Riconosciamo le autorità che sono internazionalmente riconosciute e a queste ci riferiamo». Non Haftar. «Non escludo che in futuro avremo contatti con altri soggetti presenti in Libia, quando però sarà ristabilito il diritto e l'equilibrio». E ancora, sul trasferimento di Haftar dei proventi della National Petroleum Corporation all'esecutivo di Beida guidato da Abdullah Al Thinni, duro Salvini: «È inaccettabile la sottrazione di ingenti risorse petrolifere ed economiche fatte da altri soggetti che dialogano con altri Paesi». Haftar e la Francia, appunto. Gioca a carte scoperte l'Italia. Macron? Parigi? «Il cinismo è di casa in Francia, loro pensano solo agli interessi economici e non ai diritti umani». Quel filo di dialogo che il predecessore di Salvini, Minniti, aveva aperto con Haftar incontrandolo a Bengasi, lo tiene vivo il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che a Defense news dice di voler tentare di incontrare il generale «nelle prossime settimane». Nel frattempo, Salvini procede. Dopo aver visitato la Libia, annuncia che andrà in tutti i paesi del Nord Africa, e che la prossima settimana incontrerà l'inviato dell'Onu, Ghassan Salamè, per caldeggiare la fine dell'embargo contro Tripoli. Per Salvini, l'asse Italia-Libia «deve tornare a essere strategico, fondamentale e irrinunciabile per i due paesi». E Maiteeq: «Noi in Libia attendiamo la conclusione del dossier migrazione dalla Ue da oltre due anni, abbiamo sempre detto con franchezza che se non dovesse arrivare un contributo, faremo accordi unilaterali e l'Italia è sempre stata il nostro primo partner».

GLI ACCORDI
Fra gli accordi c'è quello per la consegna di ben 12 «imbarcazioni per il salvataggio in mare», le definisce il ministro delle Infrastrutture Toninelli. «Su altre 17 si sta lavorando, ma è uno sforzo non irrilevante da affrontare riguardo a uomini e addestramento», dice Salvini. «Al momento dalla Ue tante belle parole e poco altro». L'embargo sulle armi va tolto, per dirla con Maiteeq, «per contrastare il traffico di esseri umani e controllare il nostro territorio, non riusciamo a garantire la sicurezza marittima perché siamo vittima di questo embargo». Salvini ne parlerà anche ai colleghi europei a Innsbruck domani. Sul tavolo poi la questione dell'invio della squadra tecnica italiana a Ghat, sud della Libia, per intensificare il dialogo con le tribù e controllare meglio le frontiere verso l'Africa sub-saheliana, missione concordata con l'Europa secondo Salvini sulla base di un piano Ue che dovrebbe costare 380 milioni di euro. «Parliamo di un progetto che riguarda la parte meridionale della Libia», osserva Maiteeq. «C'è stata una falsa campagna d'informazione sulla presenza di forze militari straniere nel Sud, che non ci sono». «La missione è solo rinviata», ribadisce Salvini. «Il problema - fa eco il libico - è la divisione in due del Paese». Ancora: Tripoli contro Bengasi. E viceversa.
 
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