Ed è sul North Stream che si gioca una delle più importanti partite del futuro dell’Europa. Un grande progetto, che costa ben più di dieci miliardi di euro e che vede coinvolte, oltre alla russa Gazprom, grandi imprese energetiche tedesche, francesi, olandesi, austriache e britanniche.
Un gasdotto di cui non vi è assolutamente bisogno, perché i tubi esistenti sono più che sufficienti, dato che la domanda è prevista in stagnazione, così come sono previsti nuovi investimenti nell’area mediterranea. Perché quindi spendere tanti soldi? Le spiegazioni sono semplici. Da parte russa non ci si fida del governo ucraino. Io stesso mi sono trovato, proprio dieci anni fa come presidente della Commissione Europea, a dovere raffreddare le tensioni in materia di forniture energetiche tra Russia ed Ucraina. Tensioni sul prezzo e perfino sui furti di gas dai tubi in transito dall’Ucraina. Tensioni che, allora, la Commissione Europea era in grado di mediare.
Da parte tedesca l’interesse è evidente: diventare sostanzialmente l’unico punto d’arrivo del gas russo in Europa, aggiungendo un ulteriore tassello al proprio ruolo dominante su tutta la politica europea. Una strategia appoggiata dall’intera coalizione di governo e, ovviamente, dalle imprese interessate a questo grande investimento. Non voglio entrare nelle polemiche che riguardano la coerenza del governo tedesco che, da un lato, spinge per il prolungamento delle sanzioni alla Russia e, dall’altro, conclude con la Russia stessa un accordo politico ed economico di importanza secolare. Voglio invece ritornare su un’alternativa, su cui già ho scritto molti mesi fa sul Messaggero e della quale ho parlato, sempre ricevendo riscontri positivi, con alcuni dei maggiori leader politici europei e russi, Putin incluso.
La proposta è quella di creare una società per un terzo di proprietà del governo russo, per un terzo dell’Unione Europea e per un terzo del governo ucraino, una società che sovrintenda, diriga e controlli il flusso del gas dalla Russia all’Europa nei gasdotti che già esistono in Ucraina, la portata dei quali può essere anche ampliata con una minima spesa. Questo semplice progetto garantirebbe alla Russia la sicurezza del suo mercato e all’Europa l’approvvigionamento di cui ha bisogno.
Tale accordo sarebbe inoltre in grado di fornire, come compenso per il transito del gas, almeno due miliardi di euro all’anno alle casse del povero governo ucraino, che tanto ne ha bisogno oggi e ancora più ne avrà bisogno in futuro. L’ultima conferenza stampa del presidente Putin torna a prendere in considerazione l’ipotesi di mantenere gli esistenti legami con l’Ucraina, purché siano fornite le stesse garanzie di sicurezza e di rispetto dei contratti che sono contenute nel North Stream. Si tratta di un’apertura che l’Ucraina deve cogliere e l’Unione Europea deve incoraggiare poiché questo progetto, che si basa su ineccepibili fondamenta economiche e politiche, costituisce un passo fondamentale per il cammino della pace in Ucraina.
La dura presa di posizione di Renzi, appoggiata anche dalla Polonia, può quindi aiutare a prendere iniziative non limitate all’interesse di un Paese o delle imprese coinvolte ma a costruire la pace, che è superiore ad ogni interesse.
Al debole vertice europeo seguiranno infatti prossimi incontri fra Renzi e la Merkel a Berlino e fra Renzi e Juncker a Roma. Se confortate dalle necessarie alleanze, questi incontri saranno occasioni preziose per compiere passi avanti non solo sul problema del North Stream ma su tutti i delicati interrogativi riguardo ai quali le riunioni di Bruxelles, come scrive Timothy Garton Ash, non sembrano oggi in grado di dare una risposta.
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