Oxford, rimosso ritratto di Aung San Suu Kyi dopo i silenzi sulla crisi dei Rohingya

Oxford, rimosso ritratto di Aung San Suu Kyi dopo i silenzi sulla crisi dei Rohingya
di Antonio Bonanata
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Lunedì 2 Ottobre 2017, 18:30 - Ultimo aggiornamento: 22:05
Si dice che spesso i piccoli gesti abbiano un potere simbolico più forte dei grandi discorsi o delle iniziative più appariscenti. L’impressione è che questa regola non scritta valga anche nel caso della rimozione di un ritratto di Aung San Suu Kyi dall’Università di Oxford, dove il premio Nobel per la pace e attuale ministro degli Esteri della Birmania aveva studiato più di cinquant’anni fa – precisamente dal 1964 al 1967 – conseguendo un dottorato in filosofia, scienze politiche ed economia.
Lo spostamento, deciso dal vertice del prestigioso St Hugh’s College, è stato segnalato dal Cigno, il giornale universitario realizzato dagli allievi. Ma la notizia non ha avuto il giusto risalto sulla stampa internazionale, nonostante lo avesse meritato. Al posto della nota politica birmana, è stato affisso un ritratto dell’artista giapponese Yoshihiro Takada. Dagli ambienti accademici si fa sapere che non siamo in presenza di una vera e propria rimozione ma solo di una “sostituzione temporanea”: il ritratto di San Suu Kyi è stato spostato in un luogo sicuro e riservato, mentre quello di Takada ne prenderà il posto solo per un breve periodo.
Come non leggere, tuttavia, dietro l’intera vicenda una critica velata all’atteggiamento assunto dal ministro degli Esteri di Naypyidaw (capitale della Birmania) nella crisi dei Rohingya, la popolazione di fede musulmana vittima di persecuzioni e violenze perpetrate dalle autorità birmane e oggetto di condanna in tutto il mondo? La colpa di Aung San Suu Kyi sarebbe quella di non essersi espressa a sufficienza contro queste sopraffazioni, condannandole e facendole cessare. Sarebbero circa 400mila i Rohingya giunti in Bangladesh per sfuggire alle minacce dei militari birmani, per non parlare di coloro che hanno già subito terribili vessazioni.
Il punto è che San Suu Kyi, dice chi vorrebbe difenderne l’operato, non esercita alcun potere sulle forze armate, potendo quindi fare ben poco per interrompere le violenze, comprese le violazioni dei più elementari diritti umani, l’incendio dei villaggi in cui questo popolo vive e terribili stupri di massa. Eppure, forte del carisma e dell’autorevolezza che le è stata riconosciuta in tutto il mondo per la sua storia personale e politica, celebrata nel 1991 con l’attribuzione del premio Nobel per la pace, San Suu Kyi non ha pronunciato sinora parole sufficientemente forti in difesa dei Rohingya, facilitando l’accesso degli aiuti umanitari.
Il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson ha esortato il suo omologo birmano a «mostrare la leadership di cui è capace nel tentativo di sanare questa orribile situazione».
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