Yara, i messaggi shock dell'amica Marta
«Lo vedo in palestra, ho paura»

Yara, i messaggi shock dell'amica Marta «Lo vedo in palestra, ho paura»
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Venerdì 4 Marzo 2011, 14:54 - Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 20:21
dal nostro inviato Nino Cirillo

BREMBATE DI SOPRA - Marta C. c’, esiste. E’ una moretta di 13 anni non ancora compiuti, frequenta la II B dell’unica scuola media di Gorle, una paesino di seimila abitanti cos vicino a Bergamo

che praticamente ne continua la periferia, e abita a Pedrengo, altre cinquemila anime, due chilometri più su, sempre sulla riva sinistra del fiume Serio. Aveva un profilo su facebook, «Marta C.», e ora non ce l’ha più. Non ce l’ha più da quando, mercoledì mattina, sono andati a bussare alla sua porta i carabinieri del Ros per chiederle conto, con la dovuta accortezza, di tutto quel che aveva scritto sulla morte della sua «amica» Yara Gambirasio, per chiederle a chi volesse riferirsi quando diceva ancora lunedì sera: «Lui ci conosce tutte, ora io ho paura...». E giù una sfilza di amici a farle coraggio, e lei che insisteva: «Lo vedo sempre ai nostri allenamenti...».



Marta C., le virgolette non servono più, tornava così ad accendere i riflettori su quella palestra, su quel palazzetto dello sport da dove Yara uscì ancora viva alle 18.38 di giovedì 26 novembre per poi essere ritrovata senza vita, tre mesi esatti dopo, in un campo di rovi lontano quasi dieci chilometri. Ma il fatto che Marta esista, purtroppo, significa tutto e niente. Anzi, sbucata fuori così tardivamente, sembra l’ultimo frutto avvelenato di queste indagini, perché non ci si spiega come siano andati ad ascoltarla, gli investigatori, solo dopo aver letto la notizia sui giornali. Come abbia potuto chattare indisturbata per mesi senza che nessuno dei superesperti di Internet la prendesse in considerazione. Significa tutto e niente, questa Marta C., perché non si riesce a capire quanto sia stata davvero «amica» di Yara, lei a Pedrengo e la povera ragazzina di Brembate dall’altra parte di Bergamo, almeno a una ventina di chilometri, lei alla scuola statale di Gorle e Yara dalle Orsoline in città, con la ginnastica ritmica come unico punto di contatto. Ma di Yara sono piene le pagine del sito della Polisportiva di Brembate di Sopra -a prescindere dalla sua tragica scomparsa, solo per gli splendidi successi conquistati sul campo- mentre di Marta non c’è traccia, né a Brembate né altrove. Eppure... Eppure sarebbero bastate due righe ufficiali della Procura di Bergamo, o di chiunque altro ne possieda il titolo, per dire che Marta non porta da nessuna parte, che è una pista da abbandonare. Invece silenzio totale, un silenzio che aumenta la confusione e autorizza, quasi giustifica, le più spericolate congetture giornalistiche.



L’ultima autorevole indiscrezione -in attesa che questa autopsia dica ufficialmente qualcosa sul soffocamento o sulle coltellate- vuole che sia massicciamente scesa in campo la Polizia postale di Roma, con l’incarico di un’indagine a tappeto sui pornopedofili della zona, sul traffico di foto e di filmati su Internet. Un lavoro che si affianca alla capillare rivisitazione di tutte le tracce accumulate durante questi novanta giorni, dal cantiere alla palestra, dalle celle telefoniche ai testimoni. Ma in queste ore il dolore per il ritrovamento del corpo di Yara e la frustrazione accumulata durante indagini così scombinate e così sfortunate, danno come risultato un silenzio totale, il rifiuto di una “linea” di comunicazione sia pure bassa, sia pure parziale tra i media e chi sta lavorando alla ricerca della verità. Un silenzio al quale alla fine ha potuto sottrarsi, anzi, ha dovuto perché tampinato da giorni, solo il sindaco leghista di Brembate, Diego Locatelli. Ha convocato un incontro con la stampa, alle 11 del mattino, e ha detto poche, sentite verità. Ha detto che «questa bestia, questo animale, deve essere preso. E nelle modalità previste dalla giustizia». C’è chi ha cercato di trasformare queste parole nel pensiero dei genitori di Yara, ma Locatelli è stato fermo: «Lo penso io e solo io». E non si è tirato indietro neanche di fronte al peggio, dinanzi «a qualsiasi esito delle indagini», e cioè dinanzi alla tremenda ipotesi che la «bestia» sia proprio fra loro.
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