Non c'è più tempo da perdere. Il cyberbullismo è in costante ascesa. E alimenta ogni giorno quel circuito perverso tra autolesionismo, depressione e suicidio - tentato o compiuto, sui quali Skuola.net fornisce dati agghiaccianti. Circa il 20 per cento dei giovani è stato vittima di bullismo, e il 6,5% ha sofferto i colpi micidiali della diffamazione violenta via internet. Un ragazzo su due, tra le vittime, ha pensato di togliersi la vita, e una pari percentuale pratica autolesionismo. Particolarmente esposte le ragazze: sono il 62% delle vittime on line. Social e motori di ricerca svolgono un ruolo determinante nella tutela della privacy. Ma perché nessuno ha ancora pensato a metterli in riga? «I colossi del web - spiega il professor Sica - esprimono sul controllo dei dati una posizione contraddittoria. Sostengono di poter rispondere soltanto dell'infrastruttura, ma non dei contenuti che la alimentano. Una posizione di comodo, che non è accettabile: il controllo dei dati viene prima di ogni pretesa di business, e va assoggettato a regole severe».
Che cosa fare è presto detto, le soluzioni possibili condivise dagli esperti. «Occorrono protocolli rigorosi che regolamentino, oltre alle modalità attraverso le quali i contenuti vengono messi in rete, anche quelle che presiedono alla loro cancellazione», chiosa Sica. Ma c'è un ma, grande come il Pil delle multinazionali della rete. «Dietro il presunto diritto alla comunicazione sul web, si annida in realtà un abisso senza fondo di denaro e opportunità di business che devono sottostare alle stesse leggi di chi fa affari nel mondo reale», attacca il professor Sica.
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