Messina, «Vostro figlio è vivo», e si fanno dare 200mila euro. Ma Francesco è stato ammazzato dalla mafia 25 anni fa

"Vostro figlio vivo", e si fanno dare 200mila euro. Ma era una truffa: Francesco ammazzato dalla mafia 25 anni fa
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Giovedì 15 Marzo 2018, 09:25 - Ultimo aggiornamento: 16 Marzo, 09:06
Domenico Pelleriti è scomparso da ormai 25 anni ma in tutto questo tempo i genitori lo hanno creduto vivo e hanno sborsato enormi somme di denaro all'uomo che aveva garantito loro di aiutare la fuga del ragazzo, malato e in fuga dalla vendetta della mafia. In realtà, il ragazzo era stato ucciso da Cosa Nostra e il 44enne Francesco Simone, arrestato oggi, aveva abusato della fiducia degli anziani genitori, facendosi consegnare nel tempo oltre 200mila euro e lasciandoli sul lastrico.

Oggi i carabinieri del comando provinciale di Messina, guidati dal colonnello Iacopo Mannucci Benincasa, hanno arrestato per truffa aggravata l'uomo, residente a Basicò. L'indagine, coordinata dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, nasce dalle dichiarazioni dell' ex fidanzata dell'arrestato, che si è rivolta ai carabinieri di Montalbano Elicona. Agli investigatori la donna ha raccontato che per oltre 10 anni l'ex compagno aveva avuto contatti quotidiani con i genitori di Domenico Pelleriti, un giovane di cui si erano perse le tracce dal 1993. Alla coppia aveva fatto credere che il figlio si era trasferito al nord e che era gravemente malato e bisognoso di denaro per curarsi e comprare le medicine. Per convincerli a dargli i soldi, li aveva ingannati simulando al telefono di essere il figlio, camuffando la voce.

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Simone andava a ritirare il denaro personalmente nella casa dei due anziani. A volte, temendo di finire sotto inchiesta, si faceva lasciare le somme nella cassette della posta di una casa cantoniera. Le indagini avviate dalla Stazione Carabinieri e dai militari della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto, coordinate dal pm Rita Barbieri, hanno permesso di fare luce su una storia drammatica e crudele in cui le vittime sono state sottoposte a una vera e propria tortura psicologica. In realtà, Pelleriti nel 1993 è rimasto vittima della lupara bianca, per mano della mafia barcellonese. Il corpo, a lungo cercato dai carabinieri, non è mai stato trovato. Nel dramma della sparizione del figlio, vissuto dagli anziani genitori, si è inserito l'indagato, facendo credere alla coppia che dalle loro dazioni di denaro dipendeva la sopravvivenza del ragazzo.

Secondo le indagini, ha di fatto annullato psicologicamente la coppia, facendole vivere un clima di paura, intimidazione e sofferenza. I genitori temevano che l'interruzione del rapporto con lui avrebbe causato l'interruzione del rapporto con il figlio che, per loro, non solo era molto malato, ma era anche in fuga dalla vendetta della mafia. Nell'arco di soli 15 giorni le indagini hanno permesso di accertare ben 11 consegne di denaro - dell'ordine di 50 o 100 euro ciascuna - preso dai pochi guadagni dei genitori ottantenni di Pelleriti e da quelli della zia 86enne, tutti e tre titolari di una pensione da bracciante agricolo. I due anziani, da anni in situazione economica drammatica, sono stati spogliati di ogni loro bene e denaro, tanto da essere costretti a vendere un immobile e fare debiti. E nella ricerca di soldi sono arrivati addirittura a considerare l'idea di rubare i risparmi della nipote.

IL DELITTO DEL GIOVANE: SI CERCA IL CORPO Si chiamava Domenico Pelleriti ed è scomparso da Basicò (Me) nel marzo del 1993. Ucciso dalla mafia, il suo corpo non è mai stato trovato. Sul delitto di Pelleriti ha fatto luce recentemente l'indagine denominata «Gotha VI» effettuata dai carabinieri del Comando Provinciale e della Sezione del ROS di Messina. Il giovane, hanno raccontato i pentiti della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, pur non appartenendo alla criminalità organizzata, sarebbe stato coinvolto in un giro di ladri d'auto ed era sospettato di avere compiuto dei furti a un commerciante che pagava il pizzo all'associazione mafiosa. I capi della «famiglia» barcellonese, non potevano tollerare che la loro autorità venisse messa in discussione e decisero di ucciderlo insieme al complice. Portato in un casolare con un tranello, venne torturato per fargli confessare il furto. Poi, dopo essere stato condotto a una fossa che era stata scavata per lui, ucciso con due colpi di pistola alla testa. Il cadavere venne seppellito in un agrumeto, ma le ricerche svolte a distanza ormai di anni dal delitto non hanno consentito di recuperarne il corpo. Nel tempo il terreno è stato disboscato e spianato con escavatori che potrebbero avere disperso i resti.
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