LE ANALISI
Sono più di dieci gli esperti chiamati a chiarire il caso. Perizie che non danno risposte: le ferite di Cucchi sono risultate compatibili con un pestaggio ma anche con una caduta. Le fratture sono state giudicate remote e poi recenti. Ma le conclusioni, consegnate prima ai pm e quindi alla Corte, individualmente divergenti, sono sempre state concordanti. La prima autopsia ammette le lesioni, ma evidenzia anche una carenza di assistenza prestata dall'ospedale. La famiglia ottiene la riesumazione. Ci lavorano in sei. I medici concludono che le lesioni non sono recenti: la morte è avvenuta per disidratazione. Di diverso avviso il professor Vittorio Fineschi, perito di parte civile, che evidenzia una nuova lesione e un'altra che non sarebbe stata nemmeno stata presa in esame dai consulenti del pm. «Sono elementi incontestabili: le lesioni sono intimamente legate al decesso». Il pestaggio ricostruito dall'accusa sarebbe dunque l'innesco della tragedia. «Con il passare delle ore – prosegue Fineschi – la lesione alla vertebra ha alterato il funzionamento della vescica. In ospedale non si sono resi conto della situazione». Al processo si arriva con una totale divergenza tra parte civile e pm. Gli agenti, inizialmente accusati di omicidio preterintenzionale, sono imputati per lesioni. I giudici della Corte d'assise non capiscono: nominano sei nuovi periti per stabilire cosa abbia ucciso Stefano. Per il cardiologo Giancarlo Marenzi, il dolore, dovuto alle fratture lombari, può avere determinato la morte. Ma il pool conclude: Stefano è morto per mancanza di cibo e liquidi, è difficile stabilire se le lesioni siano attribuibili a una caduta o alle botte.
LE TESTIMONIANZE
Giovanni Cucchi, ha raccontato che il 16 ottobre, in udienza, il figlio aveva il volto tumefatto e zoppicava. E c'è la testimonianza fondamentale di Yaya Samura, un detenuto del che lo stesso giorno era a piazzale Clodio, in attesa di processo come Cucchi. In sede di incidente probatorio ha riferito: «C'era il ragazzo e qualcuno dava calci, faceva rumore con i piedi, sentito che il ragazzo era caduto e stava piangendo. Ho guardato da quel finestrino e ho visto che loro metteva lui dentro cella. Tre persone». Il testimone non è mai stato chiamato a riconoscere gli agenti. Le macchie di sangue sui jeans di Stefano, però, sembravano confermare.