Terremoto, da volontario ha salvato vite: «Qui ho perso i miei ragazzi»

Terremoto, da volontario ha salvato vite: «Qui ho perso i miei ragazzi»
di Raffaella Troili
4 Minuti di Lettura
Sabato 27 Agosto 2016, 09:22 - Ultimo aggiornamento: 28 Agosto, 09:56
dal nostro inviato

AMATRICE «Vuole una storia? Ho perso due figli». Carlo Grossi, 58 anni, ha la divisa con gli stemmi, quella di chi soccorre tutti e così sembra invincibile, ogni tanto si lascia andare a un pianto, poi torna a darsi da fare. «Devo lavorare, se vado a casa prendo una cosa per dormire». Ha visto 4 terremoti, ha salvato vite come volontario della Protezione civile dei carabinieri con le unità cinofile e anche come infermiere dell'Ares 118 di Rieti, si è sempre chiesto, di fronte a un intervento, anche poco tempo fa, a casa di un giovane morto in un incidente stradale: «Ma ora come faranno? Che gli dico a questi poveracci?». Ora è lui un poveraccio, ma non lo dà a vedere. La sua è una storia tragica come le altre se non fosse che è del mestiere e ha capito subito che se il telefono è morto è brutto segno, e si è messo a scavare e ha trovato uno per uno i suoi cari. «Franco era nella sua classica posizione: dormiva abbracciando l'estremità della rete e scostava il letto per far penzolare il piede fuori. Anna era ancora calda, nel letto della mamma».

I TELEFONI MUTI
In passato infermiere all'Umberto I, una vita di volontariato, ha visto il terremoto del 79 sempre in zona, quello dell'Aquila, anche di San Possidonio a Modena nel 2012, era con la colonna mobile della Regione Lazio. «Siamo in una zona sismica 1 ma chi se lo immaginava? Quella notte ero a casa a Fara Sabina, sono divorziato da poco, i miei figli Franco di 23 anni e Anna di 21 sono rimasti con la mamma ad Amatrice». La prende alla lontana, raccontando minuto per minuto il destino beffardo. «Li ho chiamati ma erano irraggiungibili, ho acceso la tv ho visto del terremoto, ho chiamato il mio amico Gerard, gli ho detto vado a vedere i miei ragazzi. È venuto con me». Fino a via Madonna della Porta 56, dove ha vissuto una vita anche lui. Un dramma. «Ho fatto subito un'ispezione, i cadaveri non si vedevano, chiamavo Anna e Franco ma era tutto muto intorno a me».

È stata Laga, il cane addestrato, a individuare i primi corpi. «È partita verso un punto, ha abbaiato, mi ha invitato a cercare dove c'era una camera da letto. Ho iniziato a scavare, sono arrivati altri della Protezione civile, i solai erano crollati, sono corso verso un camion, ho preso tenaglie, picconi, mazze. Poi con Gerard Maci e Stefano Pietrangeli, siamo tornati a scavare, senza i miei amici sarei crollato, alternavo momenti di depressione a altri di forza. Il primo corpo che ho trovato è quello della mia ex moglie Lucia, era messa male, ma parlava, rispondeva. Mentre le toglievo i detriti da sopra, ho scorto una coda di cavallo. Era mia figlia». E qui il racconto dettagliato e asettico di Franco si ferma, crolla l'armatura, resta solo un papà distrutto. «Dormivano assieme lei e la mamma». Ma Laga non aveva finito. «Con la zampa invitava a scavare in un altro punto, invece di abbaiare però piangeva. Ho pensato che si era depressa, erano odori troppo familiari». Carlo ha chiesto una ricerca di conferma a un altro cane. «Laga aveva ragione, a pochi centimetri da dove abbaiava c'era un cadavere, era quello di Franco. Con le tronchesi abbiamo tagliato il pezzo di solaio che l'aveva travolto, sotto un foglio di catrame c'era la gamba destra che spuntava, era già freddo, Anna no, caldissima. Li ho accompagnati al primo punto di raccolta».

«HO SCRITTO I LORO NOMI»
Carlo non ha perso la lucidità, «gli ho messo subito un cartellino sopra con scritto nome, cognome, data di nascita». Poi si è fermato, un momento di sconforto, «mi sono riavvicinato alla casa, ho visto la mano di mia suocera». Ha un pensiero e un pianto per tutti, deformazione professionale, oppure solo questione di cuore. «Ieri hanno tirato fuori quelli del piano di sotto. Rita Cherubini, la caposala del Pronto soccorso di Amatrice, il marito Agostino Ciancaglioni, la figlia Morena, incinta di 4 mesi: tutti morti». Vaga per le montagne portando aiuto, in divisa, le foto dei figli nel telefonino, i ricordi più belli recenti («eravamo a cena 4 giorni fa») e lontani («quando erano piccoli comprai una macchina usata con un gancio e ci attaccammo un carrello tenda: siamo stati in campeggio tanti anni, al Sud, quanto si divertivano».
 
Anna suonava il flauto traverso al Conservatorio a L'Aquila, «era la sua passione, come la mia, a 6 anni già stava nella banda di Nerola». Franco non era entrato a Biologia, era deciso di farcela con Veterinaria. «Mi aveva detto: ti costerà un po' papà, ma che mi importa amore mio gli avevo risposto». Franco è stato anche l'ultimo nato nell'ospedale di Amatrice, il reparto di ostetricia era stato chiuso nel 93 «ma i medici c'erano, fingemmo un'urgenza». Ora della famiglia non c'è più nulla. «Forse tra una settimana esploderò, farò l'ebete per casa». Intanto ieri era ad Amatrice a recuperare una carrozzina elettrica «per Paolo un ragazzo che non cammina».