Terremoto, tre grandi sismi lungo 90 km. Un gemello quattro secoli fa

Accumoli
di Fabio Morabito
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Giovedì 25 Agosto 2016, 15:24
In linea d'aria sono novanta chilometri. Tra l'Aquila e Annifo, frazione di Foligno, passando per Accumoli, e cioè le tre località epicentro di altrettanti grandi sismi degli ultimi vent'anni, c'è una distanza così piccola da fare inevitabilmente pensare che sì, l'Italia è tutta ad alto rischio sismico come ricordano i geologi, ma qui nel centro perfetto del Paese la terra trema più spesso. La tragedia dell'Aquila è del 6 aprile 2009; il 26 settembre del 1997 c'era stato il terremoto che colpì Umbria (epicentro ad Annifo) e Marche. Più indietro nel tempo (19 settembre del 1979), sempre in questo pezzetto d'Italia, c'era stato il sisma della Valnerina. L'epicentro era stato a Norcia, a metà strada da Annifo e Accumoli.

Sismi così violenti che si sono sentiti anche a Roma, in una percezione globale che è nella natura della terra che trema. Il terremoto della Valnerina (magnitudo 5,9) lesionò il Colosseo, l'Arco di Costantino, la colonna Antonina. I morti furono 5; undici in quello del 97 (magnitudo 5,6); 309 le vittime - e 27 mila edifici colpiti - sono la ferita dell'Aquila (magnitudo 6,3).

I SISMOLOGI
E se la storia recente racconta di questo lembo di territorio che fa i conti, periodicamente, con la terra che trema, Amatrice e Accumoli hanno un precedente di quasi quattro secoli fa, che suggerisce ai sismologi l'immagine di un «terremoto gemello», uno stesso brivido sotto il suolo che accomuna i due vicini centri arrampicati sull'Appennino centrale. «Già nel 1639 in quest'area è stato registrato un sisma gemello - racconta infatti Andrea Tertulliani, primo ricercatore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia -. Furono registrate scosse della stessa entità, a dimostrazione che stiamo parlando di una zona ad altissimo rischio sismico, un'area dove i terremoti si ripetono con frequenza». Con la stessa espressione si esprime Daniela Pantosti, direttrice della Struttura terremoti dello stesso Istituto: «Sembra proprio il suo gemello - dice infatti - perché è avvenuto nello stesso posto, con un'energia simile e producendo effetti simili». Di quel terremoto - ottobre 1639, e che colpì per due volte, a distanza di una settimana - esistono cronache dell'epoca che descrivono la fuga dei principi di Amatrice, Alessandro Orsini e la moglie, che si rifugiarono nella villa di campagna e raccontano come la popolazione cercò rifugio tra le solide mura della chiesa di San Domenico. Ma sul numero del vittime non ci sono ovviamente dati certi, anche se Carlo Tiberij, cronista dell'epoca, ne ha contati 35 nella sola Amatrice. Ogni dato è importante, per vedere se si è fatto abbastanza per impedire il ripetersi di bilanci tragici. «Bisogna tener conto della densità della popolazione dell'epoca e delle dimensioni dei centri abitati di allora» avverte infatti Daniela Pantosti. C'è da chiedersi se a distanza di quattro secoli il numero delle vittime è paragonabile, e quindi quali benefici ha realmente portato il progresso come prevenzione.
Se andiamo indietro nel tempo, ma non troppo, guardando al ventesimo secolo e a questo primo scampolo del ventunesimo, il terremoto più grave è quello di Reggio Calabria e Messina, datato 28 dicembre 1908. La magnitudo fu 7,2; vennero rasi al suolo i due capoluoghi e tutti i villaggi dei dintorni; fu il più grave disastro naturale in assoluto in Italia. Quasi centomila i morti. Sei anni e pochi giorni dopo, il 13 gennaio del 1915, ci fu la tragedia della Marsica, magnitudo 6,8, Avezzano distrutta, trentamila le vittime. Negli ultimi cento anni, fortunatamente, non ci fu nulla di paragonabile a questi. Ma restano nella memoria collettiva i terremoti del Friuli (6 maggio 1976), quasi mille morti; e le due tragedie dell'Irpinia: i novanta secondi del 23 novembre 1980 (tremila morti tra Campania e Basilicata) e il sisma di cinquant'anni prima (23 luglio 1930), epicentro ancora nella provincia di Avellino, con 1.425 vittime.