Sisma, un anno dopo: da Amatrice
a Visso, le storie di chi resiste

Sisma, un anno dopo: da Amatrice a Visso, le storie di chi resiste
di Italo Carmignani*
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Giovedì 24 Agosto 2017, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 07:42

USSITA La Bianca non la schiodi mica. Come gli indiani conta le lune per darsi gli 80 anni. Vive sotto Visso, altrimenti non saprebbe dove andare, dove vivere. Neanche un anno dopo la prima delle scosse, quella più avida di vite e di case, neanche senza ancora una casetta, ma solo una roulotte, neanche se il terremoto dovesse tornare: «Io morirò qui, in un mondo o nell’altro», dice mentre si riassesta i capelli color nuvola. Al giorno 365 da quella notte che alle 3.35 straziò l’Italia tutta per paura, per stupore e dolore, non c’è solo la conta delle casette, delle tende, dei soccorsi, delle strade, delle macerie e delle pecore, ma anche quella di chi resta, chi torna e chi fugge.

IL FORNO RIAPRIRÀ
Forte della sua tempra, la Bianca parla la lingua dei forti nella sua aspra terra marchigiana. Ma non è sola: tutti quelli che vivono ancora negli alberghi, presso i parenti, nei camper o nelle città più grandi e sicura, solo il 5 per cento lascerà per sempre il suolo natio. Gli altri tornano e forse saranno anche di più. Visso, ma anche Amatrice. Tempo qualche settimana e il forno Cicconi riaprirà: è stata la vita e la tomba di Gianni, il fornaio inventore delle pizzette all’amatriciana, quello che con le fruste del pane, nei giorni della battaglia per la secessione dal Lazio, aveva scritto “W Amatrice”. La sua battaglia di secessione venne travolta dal terremoto insieme a lui. Per ritrovare Gianni servì quasi una settimana: il suo nome fu a lungo nella lista dei dispersi. Era tra i pochi svegli la notte del 24 agosto, stava lavorando al forno, avrà avuto tutto il tempo per capire. La sua impastatrice è rispuntata dalle macerie del Corso solo in questi giorni. Distrutta, ma c’era. «Rivedere quella impastatrice mi ha fatto capire che abbiamo fatto la cosa giusta a voler ripartire con l’attività», posta su Facebook il figlio di Gianni, Francesco. È giovanissimo e già duramente provato, ma tra chi ha “prenotato” uno spazio al nuovo centro commerciale del paese c’è anche lui e per il forno di famiglia. Altro amatriciano solido e positivo, Lino Coltellese: ieri è salito lui con l’autoscala dei vigili del fuoco in cima alla torre civica, divenuta il simbolo della Amatrice che resiste, a sostituire il tricolore e la bandiera rosso-blu della città, sciupate dal tempo folle di questi mesi, prima la neve, ora la polvere e il sole. Lino è un vigile del fuoco e la notte del terremoto era di riposo, ma non si è girato dall’altra parte.

LA CASETTA MIRACOLO
C’è voluto un anno, ma alla fine sono arrivate. Pino Barchetta e la moglie Tiziana Giuseppucci sono i primi assegnatari di una casetta post sisma nella provincia di Macerata, a Fiastra. Abiteranno in una delle 10 Sae consegnate alla vigilia del primo anniversario del terremoto. «Abbiamo vissuto otto mesi a Perugia - racconta Tiziana, impiegata dell’Università di Camerino -, da dove ho continuato a lavorare con il telelavoro. Finalmente ora abbiamo la casetta qui». Alla fine si riparte, come Ilaria che si è licenziata dalla profumeria a Nord per arrivare fino a Norcia e lavorare la terra di San Pellegrino, il paese umbro più danneggiato dal terremoto. Insieme al compagno Lorenzo, anche lui trentenne, sono proprietari dell’azienda agricola Bosco Torto e un anno fa salvarono 120mila bulbi di zafferano dalle macerie del magazzino crollato, per poi riuscire con l’aiuto di tanti a metterli a dimora, quindi a raccoglierlo durante le violentissime scosse di fine ottobre. Ora sono felici di avere resistito, combattuto e di avere l’unico zafferano al mondo antisismico. 

IL PORTOGHESE
Fabio, 25 anni, cittadino d’Europa. Arriva dal Portogallo e insieme a 15 suoi coetanei da meno di dieci giorni è a Norcia, dove si fermerà per un mese per portare entusiasmo ai bambini e agli anziani e dare una mano ai terremotati. «Non avevo mai visto niente di simile – racconta – perché nel mio Paese le calamità principali sono gli incendi: questa è stata la prima volta che ho visto con i miei occhi gli effetti di un terremoto e devo dire che è stato molto impressionante. Ma io vedo la gente del posto che cerca di andare avanti, che prova a fare una vita normale, nonostante tutto: e questo è bello». 
Se l’immensa mobilitazione di sentimenti, di mezzi, di promesse e di uomini che si sono arrampicati sulle montagne esplose nella tragedia dalle 3 e 36 di un mercoledì maledetto si traducesse in opere, tutto potrebbe essere ricostruito com’era. Basta volerlo, come Bianca che conta le lune e crede nella terra. 

(*Hanno collaborato Ilaria Bosi
e Alessandra Lancia
)

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