Zeffirelli: «Terra di una bellezza sacra ora sarà difficile ricostruire»

Zeffirelli: «Terra di una bellezza sacra ora sarà difficile ricostruire»
di Marica Stocchi
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Mercoledì 2 Novembre 2016, 10:36 - Ultimo aggiornamento: 10:38
Castelluccio di Norcia e la sua splendida valle, spesso scelti dal cinema e dalla televisione, sono stati anche il suggestivo set di Fratello Sole, Sorella Luna, film del 1972 di Franco Zeffirelli, ispirato alla vita e alle opere di San Francesco. «Ho scoperto Castelluccio in bicicletta dice Zeffirelli - quando ero molto giovane e le mie gambe potevano portarmi dappertutto. Eravamo in molti ad andarcene in giro pedalando e io ero sempre in testa al gruppo, portato avanti dalla curiosità, dal desiderio di scoprire. Mi ricordo che, toccando le pietre di Castelluccio, già la prima volta ne sentii la potenza, la verità. Conosco bene Assisi, Gubbio, Norcia, da sempre. Quei luoghi sono una parte importante della mia vita artistica e spirituale».

Che ricordo ha dei giorni trascorsi a Castelluccio a girare?
«È stata una grandissima avventura per il mio spirito. Parte della magia di quel film deriva dalla crisi profonda che colse me e il protagonista (Graham Faulkner, ndr.). Ricordo la costante inquietudine: non riuscivo a dormire, perché continuavo a chiedermi se quello che stavo facendo fosse bene o male. Vivevo nel senso di colpa. Faulkner, guidato dalle mie indicazioni, provava in ogni modo a restituire l'uomo Francesco. Ma Francesco era un dio in terra, le sue idee, i suoi valori non erano di questo mondo: come potevo strapparli alla divinità e farli divenire realtà?».

Non è soddisfatto del risultato?
«Sì, lo sono. Sapevo anche allora che il risultato artistico era molto buono. Il problema era che il vero Francesco, le sue vere virtù non riuscivamo a rappresentarle. Non potevamo andare oltre, eravamo costretti nei limiti angusti dell'essere umano. Francesco poteva ammansire la violenza della creazione, poteva renderla comprensibile creando dei valichi di spirito perché l'uomo li attraversasse. Faulkner era un giovane inglese, distante dalla cultura del Santo di Gubbio. Però eravamo allegri, felici, perché grazie a quei messaggi divini potevamo passare attraverso le fiamme senza bruciarci. Ma come trasferire tanta verità in un'interpretazione?».

È tornato a Castelluccio dopo le riprese del film?
«Non ho osato. Mi sentivo un intruso. Avevo la sensazione che qualcuno potesse chiedermi Come si permette di venire a fare il nostro ritratto? Come può tentare di interpretare i nostri valori?. Ci sono luoghi depositari di una bellezza sacra, irraggiungibile».

Cos'è la bellezza?
«La natura. In tutte le sue manifestazioni. Pensi ai fiori, al loro crescere, procreare e morire».

L'arte quindi non può che tentare d'imitare la natura?
«In certi casi è la natura che segue l'arte. Sembrerà paradossale, ma è così. Perché la natura palpita con chi la frequenta, non è estranea a quanto accade intorno a lei. Pensiamo proprio ai luoghi di Francesco: la sostanza dell'amore e della virtù di quell'uomo è custodita in quei luoghi ed è impossibile raggiungerne il cuore. Quando abbiamo girato lì eravamo lacerati da quelle vibrazioni».

Come possiamo proteggere un tale patrimonio?
«Il patrimonio culturale e artistico ha un valore non quantificabile ed è più delicato di quanto si immagini. I luoghi che lo proteggono dovrebbero rimanere intatti per poter permettere, a chi ha la sensibilità di percepire, di entrare in contatto con la bellezza divina dello spirito e dell'arte. Le faccio un esempio: chi come me ha avuto la fortuna di vivere un momento di alto valore culturale, circondato da personalità di grande spessore, sa, più di chiunque altro, quanto il valore dei luoghi sia immenso. Non possiamo permetterci di perderlo. Entrando in queste stanze (il maestro si riferisce alla sua casa, ndr.) si può respirare quella comunione di talenti, quella ricchezza d'arte e di spirito, che rimane negli oggetti, resiste al tempo. È una vita che raccolgo e organizzo queste testimonianze proprio per creare un luogo che abbia quest'energia. L'idea che un giorno si possa disperdere mi ferisce profondamente».

Cosa fare per le molte opere distrutte dal terremoto?
«Bisogna iniziare da un angolo e poi andare avanti. Ma ci dobbiamo rassegnare al fatto che c'è chi non ne capisce la vera e profonda necessità, c'è chi ha valori più meschini e non riesce a tenere in considerazione necessità divine come l'arte e la bellezza».

Lei crede che si procederà a una ricostruzione?
«Temo di no. Non saremmo in grado. Quei luoghi sono stati creati da uomini e donne ispirati dall'amore per il loro mondo. Noi arriviamo oggi e possiamo solo tentare di impossessarci di quell'amore, modello di una virtù fondamentale nell'uomo, quella che appunto permette di apprezzare l'arte, la bellezza: la definirei la faccia pulita e luminosa del nostro animo».

È ancora possibile sperare, citando Dostoevskij, che la bellezza salvi il mondo?
«Direi che finora se l'è cavata, nonostante i frequenti compromessi. Ogni perdita è un dolore, ma io sono certo che l'arte vinca sempre. Perché l'arte custodisce il bene e ha sempre conseguenze benefiche. Sa cosa? Persino il brutto a volte può nascondere una fonte di verità e chi ha la sensibilità per ascoltare riceverà messaggi inaspettati da fonti inaspettate».