Temperatura percepita, quando il dato non è attendibile

di Antonio Pascale
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Sabato 5 Agosto 2017, 00:05
A volte, quando leggo della temperatura percepita, mi prende lo sconforto. Come possiamo trascorrere una buona giornata se molti parlano di temperature che superano i 50 gradi? Ho visto anziani spaventati non uscire di casa, pronti a chiamare l’ambulanza. In momenti come questi penso che non ce la possiamo fare: non riusciamo proprio a trovare un modo per non creare il panico? Cosa dicono e ripetono i meteorologi (Paolo Sottocorona è tra i più attivi in questo campo)? La temperatura percepita non esiste. 
Esiste un parametro che va inteso come «indice di calore» o «sensazione termica». Chi l’ha inventato? Il dottor Robert G. Steadman, pare. Anni fa, in Vietnam fece degli studi per spiegare perché alcuni soldati (che attendevano il via stipati negli aerei) provassero malesseri. Registrò una correlazione tra frequenza di malori e umidità elevata. Elaborò quindi un algoritmo che teneva conto della temperatura e dell’umidità per segnalare se quella temperatura era “pericolosa” o meno.

Più umidità c’è, meno si suda, più il corpo fatica a liberarsi dal calore in eccesso. Ecco perché la temperatura percepita è un indice di disagio. Uno può dire «ci sono 35 gradi ma è come se ce ne fossero 40», ma i gradi sono sempre 35. Poi io che ho una buona sudorazione non sento il disagio, tu invece lo puoi sentire. Può accadere che tu usi degli abiti che non facilitano la traspirazione e senti più caldo, io al contrario meno. È percepita, spesso soggettiva, ma non reale. Già la temperatura, per essere correttamente misurata, necessita di alcune precauzioni. Il termometro deve essere posto in una capannina di legno (oppure di un materiale isolante tinteggiato di bianco e che consente la libera circolazione dell’aria) a circa 2 metri dal suolo. Per suolo, attenzione, si intende prato con erba bassa e non cemento o asfalto, perché l’assorbimento di calore potrebbe influenzare gli strumenti.

Già è complicata la misurazione della temperatura, figuriamoci quella percepita. Ora, è vero, i vari algoritmi usati per individuare il disagio (ci sono vari indici: il disagio bioclimatico estivo definito dall’indice di Thom, l’indice di calore utilizzato dal Servizio meteorologico degli Stati Uniti, eccetera) nascono da studi seri. Cercano cioè un’oggettività e per questo vanno contestualizzati, calibrati e spiegati. Eppure, ogni volta questo indice diventa allarmismo puro. Tra l’altro spesso il calcolo è falsato, si prende l’umidità relativa notturna che è più alta. Oppure in altri casi quest’indice è inattendibile: con una temperatura sopra i 40 gradi e un’umidità dell’80% (in una giungla può capitare) la temperatura percepita è 100 gradi (nemmeno una sauna finlandese). Altre volte dimostra che non fa così caldo: di recente nelle zone interne di Roma si sono toccati i 42 gradi ma l’umidità era al 12%, cioè molto bassa, e la temperatura percepita risultava di 39 gradi, più bassa di quella reale. Questo per dire delle complicazioni della temperatura percepita. 

Se ci pensiamo un attimo a freddo ci rendiamo conto che l’informazione è una fondamentale componente della democrazia. Tuttavia noi cittadini non siamo razionali, cioè non analizziamo le suddette. Anzi, non solo ci fidiamo ma tendiamo a ritenere vera quell’informazione che è disponibile nella memoria. Quelle che sono più disponibili sono quelle che più ci spaventano: si chiama bis della disponibilità. Una notizia che parla di 51 gradi ci spaventa, dunque non vai ad analizzare l’informazione, la ritieni vera. Non è solo un problema di meteo, ma riguarda la buona pratica della democrazia. Come diceva la famosa canzone «libertà è partecipazione». Tuttavia, con certi titoloni, non partecipi più e resti sulla difensiva. Oppure a casa, al buio, spaventato.
 
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