Scritta sulla lapide/Via Fani, l’oltraggio: dopo la ribalta tornano i brigatisti

di Alessandro Orsini
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Venerdì 23 Marzo 2018, 00:20
La televisione ha un grande potere. Gli assassini di Aldo Moro sono entrati nelle case degli italiani attraverso lo schermo e hanno detto: “Siamo qui: vivi e vegeti”. Alcuni di loro hanno addirittura offeso le vittime del terrorismo. 

Un’onda emotiva ha investito il Paese. La lapide in onore della scorta di Aldo Moro è stata imbrattata con il simbolo delle Brigate rosse. Tutto questo spaventa e impone di chiederci se sia possibile che un’organizzazione di estrema sinistra torni a uccidere in Italia. La risposta è: sì, potrebbe accadere. Analizziamo i fatti. L’ultimo omicidio delle Brigate rosse fu realizzato il 16 aprile 1988 contro Roberto Ruffilli. Undici anni dopo, un gruppo di “nuovi” brigatisti rossi uccideva Massimo D’Antona, il 20 maggio 1999 a Roma. Tutti rimasero stupiti perché, tra l’omicidio di Ruffilli del 1988 e quello di D’Antona del 1999, il comunismo era crollato e le “prime” Brigate rosse, quelle guidate da Moretti, avevano raccolto un fallimento totale.

<HS9>Per poter comprendere come sia stato possibile il ritorno delle Brigate rosse nel maggio 1999 e le scritte sulla lapide di ieri, occorre sapere che le Brigate rosse sono, in primo luogo, un fenomeno para-religioso. I brigatisti rossi presentano, infatti, un universo mentale che ha quattro caratteristiche fondamentali. La prima è il “catastrofismo radicale”, secondo cui l’umanità sarebbe precipitata in un abisso di dolore e di infelicità. La seconda è l’“ossessione per la purezza”, secondo cui soltanto un manipolo di “puri” – i brigatisti rossi – è rimasto immune alla corruzione dilagante.

La terza caratteristica è l’“identificazione del maligno”, in base alla quale esisterebbe una categoria di esseri mostruosi – i borghesi – responsabili del Male universale. La quarta caratteristica è l’“ossessione per la purificazione”, secondo cui gli esseri mostruosi devono essere assassinati per ottenere la purificazione del mondo attraverso lo sterminio di intere categorie sociali e cioè milioni di persone. La mentalità delle brigate rosse si è tramandata, in Italia, grazie a una serie di reticoli politici e culturali, ed è tuttora viva, come dimostra la lapide imbrattata. Essendo una mentalità para-religiosa, è largamente indipendente dalle condizioni socio-economiche che l’Italia attraversa. Come dimostrano l’Islam e il cristianesimo, le mentalità religiose possono conservarsi intatte attraverso i millenni, in qualunque contesto storico e politico. Una volta chiarito che una formazione come le Brigate rosse potrebbe tornare a uccidere, domandiamoci quali sarebbero le sue possibilità di successo. La risposta è: nessuna. Le ragioni di questo fallimento annunciato sono quattro. La prima è storica. Le Brigate rosse dovrebbero spiegare agli italiani per quale motivo ciò che è fallito nel 1978 dovrebbe funzionare nel 2018. La seconda ragione è sociale.

Le Brigate rosse affermano che il loro obiettivo resta la dittatura del proletariato. Spiegato nel modo più semplice possibile, l’instaurazione della dittatura del proletariato significa che i beni di cui sono proprietari gli italiani passerebbero sotto il controllo dei brigatisti rossi, alla guida di uno Stato basato sull’uso del terrore contro la sua stessa popolazione. Il problema è che gli italiani, che vivono nel 2018, non vogliono una crescita del potere dello Stato, bensì una sua drastica riduzione. La terza ragione del fallimento di qualsivoglia progetto brigatista è etica. Gli italiani, in virtù delle culture politiche dominanti – cattolica, liberale e socialista – proverebbero orrore all’idea di essere governati da una minoranza che ha conquistato il potere assassinando i padri di famiglia mentre passeggiavano per strada. Si ricordi che le Brigate rosse hanno rivendicato quasi cento omicidi, a sangue freddo, nel periodo 1974-1988.

La quarta ragione del fallimento è militare. Le capacità offensive di carabinieri e polizia sono talmente elevate, soprattutto dopo gli investimenti contro la minaccia dell’Isis, che nessun gruppo terroristico di estrema sinistra potrebbe sopravvivere a lungo, come dimostra la parabola degli assassini di D’Antona e Biagi, sgominati in meno di quattro anni. Vi è, infine, un ultimo impedimento: la classe operaia non è interessata a una nuova stagione di violenze, in cui i brigatisti rossi tornano a uccidere professori, giornalisti, magistrati e operai, come Guido Rossa. Se gli operai avessero nutrito un simile interesse, avrebbero appoggiato le Brigate rosse che hanno 
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