Il caso di Saronno/ Ma l’ospedale lager non sia l’immagine della nostra sanità

di Paolo Graldi
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Domenica 4 Dicembre 2016, 00:17
Etica medica in fumo, deontologia applicata a pezzi, giuramento di Ippocrate stracciato, rapporto fiduciario medico-paziente al minimo, rimbalzi mediatici dello scandalo inevitabili: sono gli effetti collaterali della storia criminale che si è forse dipanata per anni all’ospedale di Saronno. La storia dilaga oltre i confini del nosocomio, interessa la comunità nazionale. E moltiplica gli interrogativi nell’opinione pubblica, sollecitata dai reportage sopra le righe ma anche bombardata da rivelazioni autentiche che spalancano su luoghi che dovrebbero essere sacri realtà davvero inquietanti.
Uccidevano pazienti con cocktail di farmaci micidiali, per accelerarne la fine, applicando un “protocollo Cazzaniga”, dal nome dell’anestesista, Leonardo Cazzaniga, 60 anni, che se ne vantava in reparto e del quale tutti avevano una timorosa soggezione.

Lei, l’amante, Laura Taroni, 40 anni, era entrata totalmente in quella lucida allucinazione di onnipotenza, disposta a sacrificare per quell’amore velenoso anche la vita dei figlioletti e, dice l’accusa, implicata nella progettazione della morte lenta per una malattia indotta e dapprima inesistente del marito e poi della madre, contraria alla coppia semi-clandestina, entrambi fatti cremare per ridurre in polvere le prove del delitto, e in più titolare di un disegno pluriomicida riguardante una coda di parenti indigesti e ostili. Una piccola, efficientissima fabbrica di cadaveri pronti alla consegna, si deve ammettere a dar corpo alle accuse rivolte alla coppia diabolica.
Un pacco di ottanta cartelle cliniche sono al vaglio della magistratura di Busto Arsizio perché il sospetto è che il metodo, nel tempo, sia stato applicato con funesta regolarità a un gran numero di degenti. Vedremo. La pentolaccia, con copiosa documentazione di intercettazioni telefoniche e ambientali, ci consegna uno spaccato terrificante, difficilmente immaginabile senza quel supporto d’indagine che fa da sfondo alla vicenda e racconta molto dei suoi protagonisti.

All’ospedale in questione si respira una tensione insopportabile tra “medici in lacrime e pazienti in fuga”, raccontano dall’interno. I malati evitano il ricovero, cercano altrove, medici che si avvicinano con una siringa per una terapia additati come mostri, l’ospedale intero adesso descritto come un mattatoio a cielo aperto.
È il veleno dello scandalo che dilaga e invade senza scrupoli e distinguo l’intero sistema di quella unità ospedaliera. Qualcosa di tossico, di impalpabile e di ugualmente micidiale che nasce da un rapporto fiduciario che si è spezzato e a poco, per ora, valgono i richiami a una realtà adesso, non prima, sotto controllo e priva di rischi.

Il fatto è che molto di questo danno, che fatalmente supera le mura di quel luogo divenuto tanto ostile, per dilagare e annegare nei luoghi comuni, è responsabilità di una filiera di dirigenti che sapevano e non hanno agito, che erano stati informati coraggiosamente almeno da un paio di infermieri, e nonostante una commissione interna, avevano chiuso il caso alla stregua di chiacchiere da osteria, millanterie senza senso, crudeltà alimentate da gelosie professionali tipiche di ogni ambiente di lavoro e tuttavia irrilevanti ai fini della verità su temi tanto delicati.
In molti sapevano delle pratiche sbrigative (sic!) del dottor Cazzaniga, eccentrico e disinvolto camice bianco, che non faceva mistero della relazione con la infermiera-amante e vantava di possedere la soluzione rapida e indolore ai disagi per mancanza di letti disponibili. E questo per un lunghissimo periodo, per anni.
Quei dirigenti sanitari e quei medici adesso hanno dovuto attaccare gradi e camici al chiodo e tuttavia l’omertà del tutto inspiegabile di certe condotte omissive se non indirettamente complici, è causa di un dispiegarsi dei sospetti, delle paure, che è sbagliato, ingiusto e tuttavia comprensibile.

In un caso, in quel luogo che vantava prestazioni d’eccellenza e certamente aveva titoli per rivendicarne i meriti, dopo gli arresti e i capi d’accusa, si è arrivati a ricattare apertamente i vertici dell’azienda ospedaliera: una dottoressa in cerca di assunzione stabile minacciava di documentare ai parenti dei pazienti portati nell’aldilà dal “dottor Morte” se non le avessero dato il posto a cui aspirava. Anziché cacciarla con ignominia indagando su quelle presunte calunnie l’avevano accontentata comprandone il silenzio con un contratto a tempo indeterminato.
Un episodio che rivela più di tante analisi quanto l’ambiente fosse inquinato e diffusa un’aria tossica con poca voglia di aprire porte e finestre.

Sul fronte del ministero della Salute asciutte parole e molto imbarazzo: si teme l’effetto contagio e si lascia alle indagini serratissime l’onere di svelare segreti e misteri di quell’andazzo diabolico.
E tuttavia, specie nei talk show, si dispiegano i dibattiti sui mali di una sanità che ha conquistato straordinarie eccellenze e una media del servizio che molti all’estero ci invidiano, ma che registra anche cadute allarmanti, non solo singoli episodi ma eventi legati a problemi di sistema.
Anche l’ordine nazionale dei medici, chiamato a dire la sua, ammette che non esistono registri aggiornati sulle responsabilità disciplinari, piccole e per niente piccole, di professionisti. Non si sa con esattezza neppure quanti medici abbiano meritato la radiazione, pur in presenza di leggi comunitarie che impongono aggiornamenti per la intera Unione.

Si avverte, insieme all’impegno di colmare lacune e deficit informativi, un imbarazzo che cerca di fronteggiare un discredito montante, diffuso e per lo più immeritato.
Saronno e il suo ospedale colpito da uno scandalo che mette i brividi non debbono in alcun modo divenire paradigma di una situazione nazionale ben diversa e tuttavia il comportamento di quella dirigenza di fronte a comportamenti tanto gravi segnala una faglia nella credibilità complessiva della categoria: un disdoro, va ripetuto, largamente immeritato e sul quale resta un dovere di chiarezza e di rigore, nell’apparire e nell’essere di ogni giorno.
Il malato prima della malattia è un imperativo da imporre ovunque. Gli “angeli della morte” dalle mille sembianze devono poter trovare in tutti gli altri nemici acerrimi, questi sì mortali.
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