Roma, Cuffaro esce dal carcere dopo 5 anni: «Bello respirare la libertà»
 

Roma, Cuffaro esce dal carcere dopo 5 anni: «Bello respirare la libertà»  
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Domenica 13 Dicembre 2015, 10:17 - Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre, 19:08

Torna in libertà l'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro dopo essere stato in carcere per 4 anni e 11 mesi. Cuffaro è appena uscito dal carcere di Rebibbia a Roma. «È bello respirare la libertà. Oggi posso dire di aver superato il carcere», queste le prime parole dell'ex governatore.
 



La condanna definitiva era a sette anni ma ne ha scontati meno di cinque: 4 anni e 11 mesi per la precisione. Ora che ha chiuso i conti con la giustizia, grazie all'indulto di un anno per i reati «non ostativi» e lo sconto di 45 giorni ogni sei mesi per buona condotta, Totò Cuffaro torna uomo libero. Per lui è la fine di un incubo (gli amici lo chiamano «calvario») che vuole vivere in una dimensione privata. Per questo il momento in cui varcherà all'incontrario il portone di Rebibbia viene tenuto riservato. Così come resta indefinito il suo futuro.

«La politica attiva, elettorale e dei partiti è un ricordo bellissimo che non farà parte della mia nuova vita. Ora ho altre priorità». Così l'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro appena uscito dal carcere di Rebibbia. «Ho amato la politica e non rinnego nulla di ciò che ho fatto - ha aggiunto - non mi sento tradito».

«Credo che io abbia il dovere di continuare ad occuparmi dei detenuti e di seguire le vicende delle carceri perchè possano diventare più umane e vivibili. Vivendo in questi anni dentro una cella insieme ad altri ho capito quanto è importante non sentirsi abbandonati e dimenticati». Lo ha detto l'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro dopo essere uscito dal carcere di Rebibbia. «Andrò in Africa nell'ospedale che ho fatto costruire quando ero presidente della Regione - aggiunge spiegando ai cronisti come sarà il suo futuro - La società Motherworld Foundation che lo ha in gestione mi ha contattato in questi ultimi mesi ed abbiamo organizzato la mia esperienza di medico volontario in Africa che farò non appena avrò sistemato alcune vicende della mia famiglia».

«Nella mia coscienza sono innocente. Sono andato a sbattere contro la mafia. Tornassi indietro metterei un airbag». Così l'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro subito dopo essere uscito dal carcere di Rebibbia. «Ho fatto degli errori, non mi voglio nascondere - aggiunge - io li ho pagati, altri no. Ora credo di avere il diritto di ricominciare». «È stato grande il prezzo che ho pagato per aver deciso di stare in mezzo alla gente - spiega - Appartiene alla mia coscienza ciò che sono stato. Non ne voglio più parlare. Credo di non aver mai favorito la mafia ma di averla sempre osteggiata e parlano gli atti amministrativi per me. Per fare una vera lotta alla mafia credo sia necessario l'impegno delle forze di polizia, dei magistrati. Ma se lasciassimo la lotta solo a loro credo che purtroppo non riusciremmo a raggiungere l'obiettivo finale. È necessario ci sia una grande educazione. E questo è il grande errore della politica. Fin quando non sarà data alle persone la possibilità di scegliere di stare nella legalità sarà difficile vincere la mafia».

«Andrò a vedere mia madre. Non mi hanno permesso di vederla». Così l'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro risponde a chi gli chiede quale sarà la prima cosa che farà ora dopo essere uscito dal carcere. «Uno Stato che vuole rieducare non può dire non ti facciamo vedere tua madre perchè siccome ha l'arteriosclerosi l'incontro sarebbe svuotato da ogni contenuto di umanità - spiega -. Io credo che lo Stato non debba dirlo e soprattutto chi per conto dello Stato amministra la giustizia».


L'ex presidente della Regione siciliana, il politico che ha scontato la pena più lunga, non può assumere incarichi pubblici. Glielo impedisce l'interdizione alla quale è stato pure condannato. Ma tutti pensano che avrà o gli attribuiranno un ruolo politico. L'unica cosa che Cuffaro ha detto, in una lettera al governatore siciliano Rosario Crocetta, è il suo desiderio di recarsi presto in Burundi come volontario. «Ho già preso contatto - ha scritto - e andrò in Burundi a fare il medico volontario presso l'ospedale Cimbaye Sicilia, l'ospedale che, quand'ero Presidente, la Regione Siciliana ha finanziato con i soldi del Fondo della Solidarietà». Il carcere ha segnato l'ex governatore che ha affrontato la detenzione come prova di vita oltre che di fede. In cella ha anche scritto due libri di sofferta testimonianza: «Il candore delle cornacchie» e «Le carezze della nenia». Contengono riflessioni maturate in un ambiente dove «si muore e si risorge ogni giorno». La storia giudiziaria che poi ha portato alla condanna di Cuffaro comincia il 5 novembre 2003 con la scoperta di «talpe» negli uffici della Procura.

La rete di spionaggio, che fa capo al ras della sanità privata Michele Aiello prestanome di Bernardo Provenzano, si regge su due insospettabili, Giorgio Riolo sottufficiale del Ros dei carabinieri e Giuseppe Ciuro della Dia, che vengono arrestati. Sono la punta emergente di un sistema di complicità sommerse ma anche di truffe al sistema sanitario. Le indagini coinvolgono un altro sottufficiale dell'Arma, Antonio Borzacchelli, il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro e il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro. Il governatore viene individuato, attraverso intercettazioni, come un punto di snodo della rete delle talpe.

Sarebbe stato lui il principale terminale delle fughe di notizie su indagini riservate. Sarebbe stato lui anche ad «avvertire» Guttadauro che gli investigatori avevano piazzato una microspia nel suo salotto di casa. Cuffaro lo aveva appreso a sua volta da Borzacchelli poi eletto deputato all'Assemblea regionale in una lista collegata all'Udc. Il 2 novembre 2004 Cuffaro è rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra e rivelazione di segreti d'ufficio. Il processo si apre il primo febbraio 2005 davanti alla terza sezione del tribunale e si conclude il 18 gennaio 2008 con la condanna a 5 anni di reclusione.

Confermate tutte le imputazioni ma cade l'aggravante del favoreggiamento della mafia. Pesanti le pene per gli altri imputati: 14 anni a Michele Aiello, 7 a Riolo. Cuffaro, che intanto è stato rieletto nel 2006 presidente della Regione, annuncia che non si dimetterà. Ma le polemiche subito esplose vengono rinfocolate da un'immagine che riprende il governatore con un vassoio di cannoli siciliani.

Lui nega di volere «festeggiare» la condanna per favoreggiamento semplice ma l'eco mediatica lo induce a fare un passo indietro e il 26 gennaio 2008 si presenta all'Ars per presentare le sue «dimissioni irrinunciabili» e per annunciare: «Mi batterò in tutte le sedi per affermare la verità». L'appello però aggrava la posizione dell'ex presidente della Regione. Il 23 gennaio 2010 la corte d'appello di Palermo riconosce l'aggravante del favoreggiamento di Cosa nostra e condanna Cuffaro a 7 anni. La pena è aumentata anche per Aiello a 15 anni e 6 mesi e per Riolo a 8 anni. L'ultimo atto di una vicenda che segna la caduta del politico da un milione di voti viene scritto dalla Cassazione il 22 gennaio 2011.

Le condanne vengono confermate mentre Cuffaro attende il verdetto raccogliendosi in preghiera in una chiesa e invocando la Madonna.
Quando conosce la sentenza prende la strada del carcere di Rebibbia. Prima di varcare il portone del carcere dice ai cronisti: «Sono un uomo delle istituzioni e ho rispetto della magistratura. Affronterò la pena com'è giusto che sia».

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