Pozzuoli, dà fuoco alla compagna, la confessione choc: «Era incinta di me e mi tradiva, ecco perché l'ho bruciata»

Pozzuoli, dà fuoco alla compagna, la confessione choc: «Era incinta di me e mi tradiva, ecco perché l'ho bruciata»
di ​Gigi Di Fiore
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Mercoledì 3 Febbraio 2016, 13:14 - Ultimo aggiornamento: 5 Febbraio, 08:57

La folle corsa in auto di Paolo Pietropaolo si è conclusa contro un guard rail a ridosso del ponte sul Garigliano. Sconvolto, confuso, aveva ingerito poco prima diverse pillole, certamente più dosi del consentito, che sono da tempo la sua terapia per attenuare la depressione. Spiegherà qualche ora dopo: «Ho tentato di uccidermi in quel modo, ho capito subito di aver fatto una cazzata». Nella caserma dei carabinieri di Formia, la confessione, i ricordi, le sequenze della tormentata relazione con Carla Caiazzo.
 



E l'ammissione piena di aver compiuto un gesto che non ha scusanti: quella bottiglietta di alcol svuotata sul corpo di lei, l'accendino per darle fuoco. Il tentato omicidio. Nello stesso momento, ai carabinieri di Pozzuoli l'unico testimone dell'aggressione, il vigilante Gennaro Tassieri vicino di casa della famiglia Pietropaolo, raccontava: «Stavo andando in piscina, quando ho visto lui che prendeva a pugni lei. Ho cercato di liberarla, ma non ci riuscivo. Poi, l'ho scaraventato lontano. Tutto è successo in pochi attimi. Ho visto che ha preso una bottiglietta di alcol dalla macchina e l'ha svuotata addosso a lei, poi ha fatto fuoco con un accendino. Non so come non sono stato anche io investito dalla fiammata».

Carla ripeteva al suo soccorritore, che conosceva di vista, «mi hai salvata, ci hai salvato» riferendosi anche alla figlia che portava in grembo. Mentre Paolo Pietropaolo fuggiva sulla sua auto Nissan, il vigilantes ha tentato, in maniera convulsa, di aiutare Carla a spegnere le fiamme. Prima con una coperta, poi con una pompa attaccata alla fontanina dell'acqua utilizzata dai giardinieri del parco. Quegli attimi Paolo non è riuscito a descriverli con lucidità, al magistrato e ai carabinieri ripeteva soltanto: «È stato un gesto d'impulso, la bottiglietta era nel garage tra gli attrezzi. Non sono mai stato violento con lei prima. In macchina, mi sono subito reso conto di quello che ho fatto. Spero che si salvi». È stata mamma Giuseppina a chiamare l'avvocato per il figlio, il penalista Gennaro Razzino, partito da Napoli per Formia. In passato, l'avvocato aveva già difeso in un processo Paolo, accusato di ricettazione per l'acquisto di un'auto rubata. E per lui aveva ottenuto l'assoluzione.

Quando ha visto il suo avvocato, Paolo ha chiesto subito: «Come sta, Carla? Ho fatto una cosa tremenda». Poche parole, per sapere che la donna, conosciuta quando aveva solo tredici anni, il suo agitato amore di una vita, era grave e lottava contro la morte. È scoppiato a piangere, ma in lacrime non ha mai chiesto di Giulia Pia, la sua bambina che i medici del Cardarelli erano riusciti a far nascere poco prima. Rimossa, o dimenticata, in una frenetica agitazione.L'interrogatorio, dinanzi al pm di Cassino, Roberto Bulgarini, e alla presenza dei carabinieri di Pozzuoli e Formia, è durato due ore e mezza. Tutto audio registrato, con continue pause e interruzioni. Paolo Pietropaolo aveva bisogno di riprendere fiato di continuo.

E ripeteva, a scatti: «La amo, la odio...la amo, la odio». Il suo pensiero era Carla, passione insana per un uomo in preda da tempo a depressioni e irascibilità. Ha raccontato: «Ho tentato di suicidarmi quattro mesi fa, in una pineta a Castelvolturno. Mi hanno salvato dei ragazzi. Prendo anti-depressivi per dormire. Non sto bene e sapere che, nonostante attendessimo una figlia, lei continuava a vedere un altro mi faceva stare ancora più male».Una presenza non presenza: un altro uomo, sempre di Pozzuoli e sposato con tre figli, che lei aveva cominciato a frequentare dal 2009. Paolo ha messo a verbale: «In otto mesi, con Carla ci siamo visti quattro volte, ma ci siamo sempre sentiti. Aveva voluto un figlio con me, ma non lasciava perdere quell'altro. La nostra discussione è nata proprio su questo. Ho perso la testa, mi è scattato all'improvviso qualcosa». Una vita al limite, nella convivenza con la famiglia d'origine: tutti insieme, nel villino di via Vecchia delle Vigne. Tutti insieme, la sorella separata Annamaria con la figlia, il fratello Domenico con la convivente e il figlio, la mamma Giuseppina e lui, Paolo, che aveva una dependance nella villa dove, negli anni, restava qualche giorno con Carla. Il nodo era sempre quella presenza: l'altro. Ma l'altro non è stato mai bersaglio di parole risentite, nell'interrogatorio di Formia.

È Carla il centro di tutto, Carla sole e riferimento di pensieri e scelte. Paolo ha ricordato il suo tentativo, fallito, di avviare un negozio di sigarette elettriche nella piazza di Pozzuoli. Poi, ha spiegato come, negli ultimi tempi, aveva cominciato ad occuparsi di vendita di oggetti trattati nelle merceria della mamma di Carla. Ed è ancora lei a tornare nelle parole del verbale: «L'abbiamo voluta insieme la figlia, io credevo in una vera famiglia. Lei mi ha allontanato, non voleva saperne...In questi momenti difficili, ho avuto accanto mia sorella». Non molto tempo fa, Paolo aveva contattato uno psicologo. Cercava aiuto, ma non avevo i soldi necessari per una terapia. E ha dovuto lasciare andare il suo desiderio di assistenza psicologica. Ogni tanto, non lo ha negato, si rifugiava in qualche dose di droga. Ma nulla rispetto al passato, quando era stato costretto a rivolgersi più volte al Sert per uscire dalla dipendenza. Senza differenze, cocaina e a volte anche eroina.

E Carla, naturalmente, non poteva giustificarlo. Solo con la sua disperazione e il suo amore distorto per la donna che è stata sempre il suo aggancio con la vita. E proprio quella vita che si rispecchiava in lei, ha cercato di annullare, in un estremo gesto di distruzione violenta. E in un atto di solitudine raccontata, quasi come confidenza agli inquirenti: «Ho cercato conforto in qualche amico. Ora per me la cosa più importante è che Carla si salvi. Ditemi che sta meglio, ditemi che si salva». Nessuno, a Formia, poteva dargli quell'assicurazione. Nella caserma dei carabinieri di Pozzuoli, in quel momento venivano sentiti i familiari di Paolo: mamma Giuseppina, la sorella Annamaria, il fratello Domenico.

Confermavano e spiegavano, cercando di dare motivazioni alla follia improvvisa: «Lui se la prendeva per quell'altro. Non tollerava che lei avesse rapporti con un uomo, mentre portava in grembo sua figlia».
Oggi, dinanzi al gip Angelo Lanna a Cassino, l'udienza di convalida del fermo. Tentato omicidio premeditato e detenzione illegale di una pistola trovata durante la perquisizione nella villa le accuse. Naturalmente, Paolo Pietropaolo, per ora, resta in carcere a Cassino. Guardato a vista, per evitare possa riprovare il suicidio. Assai difficile che, oggi, il giudice possa scarcerarlo.

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