Piani per le emergenze, 1.759 comuni fuori legge

Piani per le emergenze, 1.759 comuni fuori legge
di Michele Di Branco e Valentina Erante
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Venerdì 26 Agosto 2016, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 18:16

ROMA Si chiamano piani di emergenza: dossier sulle caratteristiche del territorio e pianificazione degli interventi in caso di disastri. Avrebbero dovuto essere predisposti da tutti i comuni entro nel 2012, ma in Italia 1759 amministrazioni non hanno provveduto a mettersi in regola. Un dato che è in linea con le cifre della prevenzione rispetto agli eventi sismici e ai cataclismi.
 

 

Secondo l'Istat, negli ultimi quarant'anni abbiamo speso 151 miliardi di euro (3,5 miliardi ogni anno) per la ricostruzione del patrimonio edilizio distrutto, a fronte dei 44 milioni di euro stanziati nel 2016 per l'adeguamento sismico nei comuni ad alto rischio. Il fondo, istituito dopo il terremoto in Abruzzo, è stato più che dimezzato negli ultimi due anni. Non solo, nella maggior parte dei casi, i soldi stanziati non vengono neppure spesi, ma stornati su altri capitoli.

I PIANI DI EMERGENZA
È stata una legge del 2012 a prevedere che i comuni si dotassero di un piano di emergenza, stilato secondo criteri stabiliti dalla protezione civile. Il 12 ottobre di quattro anni fa, una prima nota chiedeva a regioni e province autonome una ricognizione sulla pianificazione di emergenza comunale: un indispensabile strumento per la prevenzione dei rischi che prevede anche le modalità di intervento e soccorso in caso di disastri. Alcune regioni si sono limitate a inviare il numero totale dei Comuni con il piano, altre l'elenco dettagliato della amministrazioni che, partendo dall'analisi del territorio, hanno approvato un modello di intervento e coordinamento, prevedendo soprattutto in che modo proteggere le persone e le proprietà in situazioni di emergenza e disastri. Amatrice non figura nell'elenco, mentre, in base alla tabella della protezione civile, tutti i comuni delle Marche erano dotati del piano.

 

LA PREVENZIONE
«Purtroppo in Italia si costruisce bene, con criteri antisismici, solo dopo un terremoto grave. E la controprova è Norcia: lì dopo il terremoto del 79 si è proceduto con interventi antisismici sugli edifici e così i danni provocati dal sisma di due notti fa sono quasi irrilevanti». Il sismologo Enzo Boschi individua il cuore del problema: il Paese ha una legislazione all'avanguardia dal punto di vista delle norme ma non esiste una legge che obblighi a uniformare ai parametri antisismici il patrimonio edilizio esistente. L'obbligo di adeguare la vecchia casa riguarda solo le ristrutturazioni pesant e altri pochi casi (ad esempio in caso di sopraelevazione del fabbricato). Un buco normativo disastroso, l'Istat attesta che ci sono oltre 16 milioni le case costruite prima del 1971 (anno in cui è nata la prima legge che istituiva l'obbligo di depositare i calcoli a firma di un ingegnere), delle quali ben 5,3 milioni sorgono in zona 3 (terremoti di media intensità) e più di 760 mila in zona 4 (terremoti di forte intensità). A questo si deve aggiungere ancora secondo recenti dati Istat che negli ultimi 40 anni lo Stato ha speso 151 miliardi per la ricostruzione del patrimonio edilizio distrutto, ovvero 3,5 miliardi all'anno. Denaro sufficiente, a giudizio dei geologi, per mettere in sicurezza buona parte degli edifici pubblici. A cominciare dalle scuole, considerato che ben 24 mila istituti sorgono su territori che sono delle vere proprie bombe sismiche ad orologeria. Ancora i geologi indicano la riforma da realizzare subito: obbligare tutti comuni (alcune Regioni lo impongono ma quasi tutte lo ignorano) a dotarsi del fascicolo del fabbricato, uno strumento per il monitoraggio dello stato di conservazione del patrimonio edilizio finalizzato ad individuare le situazioni di rischio degli edifici e a programmare nel tempo interventi di ristrutturazione e manutenzione. Altro buco legislativo: i Comuni spesso nominano assessori all'Ambiente privi di competenze tecniche e geologiche, personale politico non certo in grado di concedere o revocare licenze edilizie. Ma serve anche un intervento finanziario del governo. Gli ingegneri sismici italiani suggeriscono la ricetta del Giappone: obbligo per tutti gli immobili di un'assicurazione (fortemente scontata sul piano fiscale) peri i danni da sisma. Solo così il proprietario di un immobile sarebbe convinto a intervenire sulle strutture, a fronte di uno sconto sulla polizza. E, in caso di terremoto, i danni sarebbero minori e i costi di ricostruzione peserebbero sulle casse della compagnia anziché su quelle dello Stato.

I FINANZIAMENTI
Dopo il terremoto in Abruzzo del 2009 è stato avviato il Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico, che prevede lo stanziamento di 965 milioni di euro in sette anni per realizzare interventi sull'intero territorio nazionale. I fondi disponibili per il 2016 ammontano a 44 milioni di euro in tutto. Un taglio netto rispetto ai 145,1 milioni di euro stanziati per il 2015, e ai 195,6 dei tre anni precedenti. Dal 2010 si prevede che le regioni attivino da un minimo del 20 per cento a un massimo del 40 per cento di interventi sugli edifici privati, purché la cifra sia pari o superiore ai due milioni di euro. Ma l'impiego dei fondi sembra essere un buco nero, sulla situazione nei comuni dell'alto Lazio e le Marche farà chiarezza dalla magistratura. Settecentomila euro erano stati impiegati dal comune di Amatrice per l'adeguamento sismico della scuola ridotta in macerie due giorni fa, mentre i due milioni, destinati al municipio crollato, erano stati dirottati altrove.