Parmalat, Cassazione conferma condanne, ma le pene dovranno essere ridotte

Parmalat, Cassazione conferma condanne, ma le pene dovranno essere ridotte
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Venerdì 5 Dicembre 2014, 22:05 - Ultimo aggiornamento: 7 Dicembre, 18:45
Impianto accusatorio sostanzialmente confermato, ma pene da rivedere al ribasso per l'intervenuta prescrizione e la riqualificazione di alcuni reati. Questo il verdetto della Cassazione, giunto venerdì serata, sulla vicenda giudiziaria relativa alla vendita alla Parmalat delle acque minerali Ciappazzi. Tra gli imputati l'ex presidente di Banca di Roma-Capitalia, Cesare Geronzi, l'allora direttore generale di Capitalia, Matteo Arpe, e altri sei manager della banca.



Il 7 giugno 2013 la corte d'appello di Bologna aveva confermato le condanne di primo grado: a Geronzi erano stati inflitti cinque anni per bancarotta e usura, ad Arpe tre anni e sette mesi per la sola bancarotta. Condanne anche per gli altri imputati. Al centro del processo c'è l'affare Ciappazzi, combinato, secondo l'accusa, tra il gruppo Ciarrapico e la Parmalat di Calisto Tanzi su pressione illecita di Cesare Geronzi che, all'epoca dei fatti (era il 2002), era il numero uno del gruppo bancario romano.



Tanzi avrebbe acquistato la società di acque minerali (in uno stato di completo sfacelo), a un prezzo gonfiato per ottenere poi dal gruppo Capitalia un finanziamento da 50 milioni di euro che sarebbe servito a tenere a galla il settore turismo della Parmalat. La banca, dal canto suo, avrebbe consentito al gruppo Ciarrapico di incamerare i soldi della vendita e di conseguenza far rientrare in Banca di Roma (poi Capitalia) i fondi di un finanziamento concesso anni prima.



Nelle motivazioni della sentenza d'appello si legge che Cesare Geronzi era a conoscenza «dello stato di gravissima difficoltà economica in cui si trovavano sia Parmalat sia il Tanzi come persona fisica». La difesa di Geronzi, spiegano i giudici, «ha contestato in via logica la ritenuta conoscenza dello stato di insolvenza assumendo che, se fosse sussistita, mai avrebbe la banca continuato a finanziare la società che, logicamente, non avrebbe potuto restituire i finanziamenti ricevuti».



L'argomento, aggiungono i giudici, «pur suggestivo, non è condivisibile (...): Capitalia-Banca di Roma aveva un estremo interesse a chiudere la liquidazione del gruppo Sorgenti - e si vedrà come la vendita della Ciappazzi, ad onta delle deduzioni difensive, ne costituisse un tassello essenziale - perchè gravemente esposta verso il gruppo Ciarrapico e osservata dalla vigilanza di Banca d'Italia e ha scelto di spostarè il rischio di insolvenza da un debitore ormai decotto ad altro, come il gruppo Parmalat».



Per i giudici bolognesi è «del tutto condivisibile la tesi fatta propria dal Tribunale di Parma, per cui l'azienda di acque minerali siciliana era stata venduta ad un prezzo di gran lunga superiore al suo effettivo valore, determinato non in ragione di questo, bensì delle esigenze di Banca di Roma in relazione all'attuazione del piano per la liquidazione in bonis del gruppo Ciarrapico e di come il Tanzi si sia determinato all'acquisto non in ragione di un calcolo di convenienza economica nell'ambito di una strategia aziendale, bensì a seguito di "pressionì esercitate dai vertici di Banca di Roma e, nello specifico, del Geronzi che all'acquisizione della Ciappazzi aveva subordinato il mantenimento del favore creditizio"».



La Cassazione ha annullato la sentenza d'appello senza rinvio per prescrizione, relativamente al reato di usura imputato a Geronzi, e ha annullato invece con rinvio, per la rideterminazione della pena, relativamente ad alcune ipotesi di bancarotta contestate a diversi imputati, tra cui Arpe e lo stesso Geronzi.



Infatti la Corte ha dichiarato assorbite nel reato di bancarotta per distrazione due ipotesi di bancarotta per operazioni dolose; rimane invece la bancarotta societaria.
In sintesi, quindi, passa in giudicato la responsabilità degli imputati anche se un nuovo processo davanti alla corte d'appello di Bologna dovrà rivedere le pene al ribasso.
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