dal nostro inviato
Nino Cirillo
CESENATICO - Mamma Tonina, una volta maestra di piadine, forse non lo sa. Ma l’appartamento D5 del residence Le Rose -lo sfondarono la sera del 14 febbraio di dieci anni fa, e Marco Pantani era già morto- fa maledettamente il paio con il casotto di Mapello, che conservava le ultime tracce tangibili di Yara Gambirasio: anche questo è stato demolito. E’ scomparso alla vista degli umani, se ne può solo serbare un amaro ricordo.
«ME LO HANNO AMMAZZATO»
A che aggrapparsi allora? A cosa stringersi proprio adesso che la macchina s’è rimessa in moto, che la giustizia lampeggia, che fa intravedere un’altra verità? Mamma Tonina lo sa, è lei che conduce la danza: «Me l’hanno ammazzato, aveva scoperto qualcosa». È quello che tutta Cesenatico voleva sentirle dire, che anzi, ha aspettato dieci anni per poter ascoltare quelle parole.
LE PAROLE DI MARCO
Ed è un giallo vero, con tutto il rispetto per la maglia giallo che Pantani pure indossò. Perché come dare un volto a quelli che «mi stanno dando fastidio», proprio l’ultimo giorno della sua vita, come immaginarseli, questi esecutori di un omicidio così abilmente programmato? Si leggono e si rileggono le dichiarazioni rese a verbale da Lucia D., una delle cameriera del residence, eppure non se ne esce. Il resto, purtroppo, è folklore. C’è un Pantani in cartapesta, ad esempio, che continua a pedalare giorno e notte al museo che hanno aperto proprio accanto alla stazione ferroviaria, per chiamarlo pomposamente «Spazio Pantani». C’è il cimitero, poi, con tutto un percorso guidato per arrivare proprio a lui. E c’è anche, sul corso, lo striscione del Caffè dei Pini, con su scritto «Club magico Pantani», per scoprire che il club c’era una volta, che adesso tutto è cambiato. È il tempo che non perdona, e forse neppure lui, neppure Marco Pantani.