Pamela, insulti in carcere ad Oseghale. Gli altri detenuti: «Sei un macellaio»

Oseghale
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Venerdì 13 Aprile 2018, 11:54 - Ultimo aggiornamento: 14 Aprile, 08:37

«Macellaio», poi insulti e contumelie nei confronti di Innocent Oseghale. Nel carcere di Marino del Tronto dove è rinchiuso il ventinovenne nigeriano accusato dell'omicidio di Pamela Mastropietro, i detenuti italiani non risparmiano al presunto omicida invettive e parolacce, e "macellaio" è l'aggettivo più dolce che gli urlano da dietro le sbarre.

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Accade tutte le volte che Oseghale esce dalla cella nella sezione filtro in cui si trova e passa davanti alle celle dove ci sono gli altri detenuti. Ma solo gli italiani. Da quanto trapela dal carcere, per i detenuti di colore il ventinovenne sarebbe innocente. Oseghale è accusato dell'omicidio della diciottenne romana, di distruzione, vilipendio e occultamento di cadavere.

Per la Procura sarebbe stato lui (in concorso con i connazionali Desmond Lucky e Lucky Awelima) a uccidere Pamela, sezionarne il corpo e lavarla con la candeggina per poi abbandonare (questo da solo) le due valigie con dentro i resti della ragazzina davanti a una villa tra Casette Verdini e Pollenza la notte del 30 gennaio scorso. Arrestato alcune ore dopo il ritrovamento dei due trolley, Oseghale era stato recluso prima al carcere di Montacuto ad Ancona in isolamento e poi trasferito alla casa circondariale di Marino del Trono nell'Ascolano.

Qui il nigeriano è stato collocato nella cella 2 della sezione filtro, insieme ad altri cinque detenuti (la capienza è di otto). Oseghale, che parla poco e comprende poco l'italiano, in carcere riceve le visite dei legali Simone Matraxia e Umberto Gramenzi e della compagna, una donna italiana di 37 anni da cui ha avuto una figlia (che oggi ha un anno) ed è in attesa che nasca il secondogenito (probabilmente per l'estate).

Dalle poche notizie che trapelano dal carcere il nigeriano avrebbe una corrispondenza epistolare con dei nigeriani che hanno un'attività commerciale a Macerata e avrebbe ricevuto non poche lettere di persone residenti in varie città italiane interessate alla sua vicenda giudiziaria e che gli consiglierebbero come difensori, di volta in volta, avvocati differenti.

La sua posizione è la più critica. Pamela, infatti, è stata uccisa e sezionata nell'appartamento in via Spalato 124 dove lui viveva in affitto. È suo uno dei tre Dna trovati sui resti della diciottenne e i carabinieri dei Ris hanno trovato le sue impronte sulle tracce di sangue rinvenute all'interno nell'abitazione. Chi condivide con lui la cella non lo crede capace di sezionare un corpo, sarebbe talmente debole da non riuscire ad aprire i vasetti con le mani e dovrebbe aiutarsi con i denti, ma a incastrarlo sulla scena del delitto sono le tracce lasciate e i tabulati telefonici.

Anche ai detenuti che sono in cella con lui il ventinovenne nigeriano avrebbe sempre ripetuto di non aver ucciso Pamela e di non aver partecipato al sezionamento del suo corpo.
Una versione, questa, che non è mai stata creduta dagli inquirenti. Ma ormai l'inchiesta è alle ultime battute. Dopo il deposito della perizia finale effettuata dal pool di medici legali guidato da Mariano Cingolani insieme al tossicologo Rino Froldi, la Procura attende che vengano svolti gli ultimi accertamenti da parte dei Ris e che venga depositata la relazione finale del Reparto investigazioni scientifiche di Roma.

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