Palermo, i commercianti denunciano: 17 arresti, sgominata la gang del pizzo

Un'immagine del Borgo Vecchio, a Palermo
di Mario Meliadò
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Venerdì 10 Novembre 2017, 19:28 - Ultimo aggiornamento: 23:53

Hanno dimostrato un coraggio da leoni, i 18 commercianti palermitani del Borgo Vecchio che – d’accordo, dopo essere stati messi davanti al “fatto compiuto”, alla “prova provata” di un foglietto con tanto di nomi e accanto i soldi del “pizzo” versati periodicamente da ciascuno di loro – hanno trovato la forza di ribellarsi a Cosa Nostra e di dire che sì, loro la stecca erano sempre stati costretti a pagarla.

 

 


Un gesto che nella roccaforte della mafia a un tiro di schioppo dalle vie frequentate dalla Palermo-bene non era mai accaduto in precedenza: e proprio dall’ardimento di questi esercenti, consapevoli di rischiare parecchio per questi “Vespri Siciliani civili”, per quest’insurrezione contro la legge del “pizzo”, sono scaturiti 17 storici arresti messi a segno dai Carabinieri, su coordinamento della Direzione distrettuale antimafia panormita – guidata dal procuratore distrettuale Salvatore Lo Voi, su questo fascicolo insieme all'aggiunto Salvatore De Luca e ai pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco – e grazie anche alle dichiarazioni del “pentito” Giuseppe Tantillo, ex reggente al Borgo Vecchio insieme al fratello Domenico, che hanno consentito di mettere il primo mattocino dell’inchiesta facendo rinvenire perfino il “libro mastro” con su annotate tutte le estorsioni voce per voce, importo dietro importo, 14 dei quali sono state puntualmente documentate. Sequestrate pure numerose attività commerciali intestate a prestanome, di fatto utilizzate per il money laundering.
I commercianti-coraggio hanno fatto il resto.
 
Associazione a delinquere di stampo mafioso, tentato omicidio, estorsione, rapina, illecita detenzione di armi e munizioni e fittizia intestazione di beni i reati contestati nei confronti di Fabio Bonanno, Domenico Canfarotta, Cristian Cinà, Domenico Consiglio, Salvatore e Marcello D’Amico, Elio Ganci, Giuseppe La Malfa, Nunzio La Torre, Gianluca Lo Coco, Luigi Miceli, Francesco e Salvatore Russo, Antonino Siragusa, Massimiliano Tabbita, Domenico Tantillo e Antonino Tarallo.

Tra gli episodi di cui s’è riusciti a venire a capo, individuate le responsabilità per la rapina non autorizzata del giugno 2011 che causò il ferimento di una persona e i cui autori furono poi vittime di un pestaggio commissionato dai vertici del mandamento di Porta Nuova, e per una clamorosa sparatoria, verificatasi il 4 marzo di due anni fa nel cuore del Borgo, tra i seguaci dei Tantillo e i “picciotti” di Francesco Russo, intenzionato a riprendere le redini criminali del popolare quartiere di Palermo ma sùbito bruscamente redarguito a rispettare alla lettera le “regole del gioco”.
 
Pedro, Hybris, i due tronconi di Panta Rei le indagini che, fra il 2011 e il novembre scorso, hanno costituito il pilastro per i cruciali sviluppi odierni. Ma certo anche è di rilievo anche la concomitanza con un tragico, significativo anniversario: i 25 anni dall’assassinio di Gaetano  Giordano, commerciante di Gela, nel Siracusano, che insieme alla moglie Franca Evangelista si oppose a costo della vita al racket delle estorsioni e fu in effetti ucciso da Cosa Nostra il 10 novembre del 1992. Come ricordato in un’iniziativa pubblica, presenti tra gli altri il capo della Polizia Franco Gabrielli e il presidente onorario della Federazione antiusura e antiracket Tano Grasso, il suo sacrificio non è stato però vano, ma ha consentito in quel contesto la nascita di un impetuoso movimento antiracket, che oggi porta peraltro il nome di Giordano.
 
In una nota diramata alla stampa, il presidente di Confesercenti Palermo Mario Attinasi ringrazia magistratura e forze dell’ordine per li blitz di stamane, ma soprattutto lancia «un appello a tutti gli operatori economici, affinché seguano l’esempio dei commercianti che hanno collaborato con gli inquirenti e si ribellino al racket e alla violenza mafiosa». Già in conferenza stampa il comandante provinciale dell’Arma, colonnello Antonio Di Stasio, ha evidenziato come la mafia, anche allo storico scopo di sostentare economicamente i familiari degli affiliati in cella e pagarne le spese legali, spesso riesca a soggiogare con la regola del “pizzo” i cittadini, se la vittima «anche solo dietro una minaccia verbale, percependo rischi e conseguenze per sé e i propri familiari, si sente costretta a cedere», esprimendo la propria «gratitudine» a quanti si sono «affidati allo Stato, continuando a denunciare gli estortori». 

 

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