Palazzi occupati, il Viminale: «Riporteremo la legalità»

Palazzi occupati, il Viminale: «Riporteremo la legalità»
di Simone Canettieri
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Giovedì 5 Luglio 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 20:27
È una delle 90 occupazioni illegali della Capitale, anche se l’ex salumificio Fiorucci conserva una sua specificità: è una maxi-galleria d’arte con spazio espositivo a cielo aperto. Al tribunale di Roma però interessa altro e così ha condannato lo Stato Italiano e il ministero dell’Interno ad un maxi risarcimento di 28 milioni di euro contestando loro la «mancata prevenzione dell’occupazione» e la «mancata repressione». Ossia: lo sgombero. Una vicenda che si trascina dal 2009 e che rientra in un quadro molto più complesso. Visto che, come sottolinea anche il giudice della Seconda Sezione Civile del Tribunale di Roma, Alfredo Matteo Sacco, Roma è disseminata di occupazioni che «rischiano di diventare terreno fertile per la formazione «di zone franche, utili per ogni genere di traffico illecito». Il tribunale dichiara anche il Comune e la Regione «carenti di passiva legittimazione».

PRIMI PASSI
La notizia ieri è finita sul tavolo del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Che al Messaggero spiega: «Deve essere chiaro che il risultato di questa condanna riguarda altre gestioni, ma ora la musica è cambiata: situazioni di questo genere non ci saranno più. Scatterà una tolleranza zero per le occupazioni abusive: passeremo dalle parole ai fatti». Sempre Salvini annuncia che «parlerà di questo dossier con la sindaca Raggi». Piccolo passo indietro: un anno fa, dopo lo sgombero dell’immobile di via Curtatone, l’allora ministro Marco Minniti emanò una circolare che coinvolgeva Regione, Comune e Prefettura affinché si facessero quanto prima delle mappature nei palazzi occupati. Una sorta di censimento per permettere alle «fragilità», ovvero donne e bambini di essere presi in carico dai servizi sociali. Dopo un anno la situazione è rimasta invariata. E intanto, come appunto nel caso di questo spazio artistico sulla consolare Prenestina, adesso lo Stato si trova a risarcire i titolari dell’area per «la carente attività di prevenzione e l’altrettanto carente attività di repressione delle occupazioni abusive di immobili». Ledendo, come sottolinea il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, «i diritti costituzionalmente garantiti di proprietà e di iniziativa economica, incomprimibili». E non è la prima volta: un caso analogo ci fu lo scorso novembre su un edificio di Tor Marancia con un’altra condanna milionaria.

E su questo punto batte ancora il ministro Salvini. «In campagna elettorale ho visitato a Roma più di un immobile occupato abusivamente - dice - il messaggio che voglio trasmettere ai cittadini è chiaro: queste pratiche odiose cesseranno perché tolgono diritti a chi è in regola. Situazioni del genere non esisteranno più». Dal Viminale non escludono che la questione sgomberi nella Capitale subisca un’accelerazione, anzi. A breve potrebbe essere convocato dal ministro il tavolo per l’ordine e la sicurezza in Prefettura. Anche questo fronte, dopo quello dei campi rom, potrebbe creare qualche tensione con il Campidoglio (che ha una linea soft) di Virginia Raggi e con la Regione di Nicola Zingaretti, creando magari un asse inedito. «In queste settimane al Viminale - conclude il ministro e vicepremier Salvini - sto recuperano molti dossier, sto bloccando appalti, sto guardando lavori che altri hanno gestito: voglio vederci chiaro su tutto».

L’ALTRO FRONTE
Il caso dell’ex salumificio, occupato e trasformato in galleria d’arte (si chiama Maam: museo dell’altro e dell’altrove, Metropoliz) e per il quale ora è stato condannato lo Stato, potrebbe creare qualche imbarazzo anche nella giunta Raggi. L’assessore alla Cultura Luca Bergamo, il 29 ottobre del 2016, visitò l’area del tutto irregolare dove vivono 200 persone. Una sorta di comune dove sono presenti 10 nazionalità diverse (Perù, Santo Domingo, Marocco, Tunisia, Eritrea, Sudan, Ucraina e Polonia) immerse in un contesto con circa 500 pezzi d’arte. Fu una delle sue prime uscite da responsabile della Cultura della Capitale e in quell’occasione definì il Maam «un esempio». Al punto di nominare il suo creatore, l’antropologo Giorgio De Finis, direttore del Macro. 
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