Perché sì/ La scarsa natalità mette in crisi gli equilibri social

di Antonio Golini
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Venerdì 2 Settembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:17
Tutti sanno, o immediatamente capiscono, che se tutte le coppie avessero 5 o 6 figli, la popolazione di un Paese crescerebbe in maniera rovinosa e travolgerebbe nella sua crescita tutte le strutture dello Stato.

Travolgerebbe scuole, ospedali, sistema produttivo, sistema giudiziario e così via, creando seri problemi a ognuno, anche a quelle coppie che per avventura ne avessero zero o uno soltanto. È invece molto più difficile far intendere che un Paese sarebbe ugualmente in difficoltà se l’assoluta maggioranza delle coppie avesse soltanto uno o nessun figlio, dal momento che una fecondità così bassa o quasi nulla provoca, fra l’altro, una diminuzione anche violenta della popolazione e un suo invecchiamento intensissimo e veloce e quindi un tracollo delle strutture sociali ed economiche, non meno difficile da fronteggiare e gestire rispetto a una crescita esponenziale e irrefrenabile. È così che mentre tutti invocano e accettano una propaganda a favore del controllo delle nascite - ne sono state fatte decine e decine negli ultimi decenni in giro per il mondo - quando la crescita della popolazione è stata o è intensissima, sono assai pochi invece quelli che, specie in un Paese affollato come l’Italia, invocano e accettano una propaganda a favore di una pur lieve ripresa della fecondità bassissima o quasi nulla. Perciò un demografo non si stupisce se viene proposto, da parte del ministero della Salute, un “fertility day”, un giorno dedicato alla fecondità, cioè alla riflessione di quanto e quando procreare da parte delle coppie.

Il primo scopo di una tale iniziativa mi sembra quello di rammentare alle coppie che desiderano avere un figlio, o un figlio in più, che il tempo per averlo, e poi per allevarlo, è limitato nel ciclo di vita di una persona e di una coppia. Oggi invece si tende a credere che questo tempo possa essere straordinariamente dilatato; e quando poi si decide, il tempo è ormai scaduto, specie per la donna che in questo terreno ha certo impegni, ma anche privilegi incredibilmente maggiori di quelli dell’uomo. È bene quindi ricordare che la fecondità femminile ha nella vita un temine assai più corto, ravvicinato e irreversibile.

Il secondo scopo mi sembra sia quello di sottolineare che non soltanto in una popolazione, ma anche in una famiglia ci deve essere un qualche equilibrio fra persone anziane, adulte e giovani, se si vuole, come si deve, che la popolazione e la famiglia abbiano nel tempo la capacità e la possibilità di sopravvivere. Fortunatamente questo equilibrio è molto elastico e quindi una famiglia e una popolazione mantengono questa capacità anche in condizioni di equilibrio assai precario, cioè con molti anziani e pochi adulti e giovani, purché non sia del tutto compromesso. 
Molti sostengono che ove manchino adulti e giovani non esista un problema, considerata la grande quantità di adulti e giovani che possono immigrare. Ora, detto con forza che l’immigrazione frutto di una libera scelta è conveniente e anzi necessaria, fra l’altro per assicurare a chi lo voglia di trasferirsi liberamente da una parte all’altra della faccia della Terra, non è più tanto conveniente per coloro i quali la migrazione costituisce uno stato di assoluta necessità. E quanto ingrata sia questa necessità lo dimostrano le decine di migliaia di morti nel Mediterraneo, fra quelli che hanno tentato di attraversarlo per fuggire dalla fame e dalla disperazione. Né d’altro canto da parte dei Paesi di destinazione vi è la possibilità di accogliere incessantemente nei propri confini milioni e milioni di migranti e di profughi che rischiano di far saltare equilibri faticosamente raggiunti fra popolazione ed economia, fra popolazione e territorio; equilibri che non sono soltanto numerici, ma anche storici e culturali fatti di retaggi assai complessi e radicati, come per alcuni versi dimostrano anche le tragiche vicende del terremoto di questi giorni.
Insomma per un territorio che voglia mantenere un giusto equilibrio fra demografia, economia, storia e cultura, ma anche vitalità, occorre una equa miscela fra crescita della popolazione originaria (che peraltro già comprende gli immigrati di un tempo) e quindi numero di figli, e immigrazione e quindi nuovi cittadini. In una visione così articolata, mi pare positiva la proposizione di una giornata della fecondità.
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