Emanuele massacro davanti a trenta persone: «Avevamo paura»

Emanuele massacro davanti a trenta persone: «Avevamo paura»
di Stefano De Angelis
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Mercoledì 29 Marzo 2017, 08:18
ALATRI È stato pestato a morte nella piazza adiacente a un locale del centro storico di Alatri, in Ciociaria, davanti a una trentina di giovani, quasi nell'indifferenza e nella paura. È stato colpito, in tre momenti diversi, da più persone. I presunti assassini di Emanuele Morganti, vent'anni da compiere, stagista in uno stabilimento industriale di Frosinone, sono stati catturati a Roma. Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, di 27 e 20 anni, tra loro un fratello in comune, sono finiti nel carcere di Regina Coeli con l'accusa di omicidio volontario. Erano fuggiti da Alatri, forse per timore di vendette, e si erano nascosti nella periferia della Capitale a casa della sorella di Castagnacci. Lì dove sono stati bloccati l'altra notte dai carabinieri su ordine della Procura di Frosinone che nei loro confronti ha emesso i fermi. Nell'inchiesta ci sono altri cinque indagati, quattro italiani e un albanese. Quattro sono buttafuori del locale: a loro viene contestato il reato di rissa.

«HO PROVATO A DIFENDERLO»
Negli amici che erano usciti con Emanuele il ricordo di quella notte di violenza è ancora vivo. Prima il litigio tra il giovane e un cliente di origine albanese per colpa di un drink, poi, dopo che Emanuele era stato sollevato di peso e portato fuori da alcuni buttafuori, all'improvviso è avvenuto il pestaggio. Solo quattro o cinque amici hanno provato a più riprese a intervenire, a difenderlo dalla quella furia di calci e pugni, facendogli anche da scudo con il corpo. Uno è stato bloccato, colpito e ferito riportando graffi e segni al collo.

«Il gruppo si è accanito anche contro di me, colpendomi ripetutamente, con Emanuele che giaceva a terra. Ho provato a reagire per proteggerlo. Poi sono arrivati i carabinieri e il gruppo ha cessato l'aggressione disperdendosi», ha raccontato. La fidanzata di Emanuele, Ketty, anche lei al Miro music club (circolo ricreativo posto sotto sequestro), durante quell'inferno ha cercato di avvicinarsi, «ma era già accerchiato», ha detto senza darsi pace. Emanuele, stando alle indagini, è stato colpito anche alla testa al punto da finire contro la portiera di un'auto. Alla fine del massacro è rimasto esanime sui sampietrini di piazza Regina Margherita con il cranio fracassato.
Davanti a lui una schiera di coetanei inermi, sconvolti, scioccati. È morto un giorno e mezzo dopo all'ospedale Umberto I di Roma. «Un certo numero di persone ha assistito al pestaggio - hanno spiegato i militari -. I ragazzi devono avere fiducia e comunicarci quanto può essere utile», ma non tutti hanno parlato. Sono subito partite le indagini: perquisizioni, interrogatori a oltranza, sospettati trattenuti ore, testimonianze, riscontri incrociati per risalire ai responsabili. Dopo 48 ore, la svolta.

IL BLITZ
I carabinieri intorno all'1.30 sono piombati nell'appartamento di una palazzina di Montespaccato, nella zona di Boccea. Lì c'erano Castagnacci e Palmisani. Non hanno opposto resistenza, in casa non è stato trovato alcun arnese di ferro sospetto. Per gli investigatori sono stati loro a sferrare i colpi mortali in una terza aggressione, quella letale, dopo altre due «da parte di alcune persone e con modalità diverse» ha spiegato il procuratore Giuseppe De Falco. In tutto 15 minuti di ferocia, nonostante Emanuele avesse tentato di divincolarsi. Poi è stato raggiunto di nuovo. Oltre ai pugni, per l'accusa è stato colpito anche con un tubolare e un manganello, che ancora non sono stati rinvenuti. Quando sono arrivati i carabinieri, intorno alle 2, Emanuele era svenuto. Tutt'intorno tante persone in «stato di agitazione».

Castagnacci solo giovedì, il giorno prima, era stato arrestato a Roma per droga. Posto ai domiciliari, venerdì era stato rimesso in libertà dopo l'udienza di convalida. Poche ore dopo, la rissa e il massacro. «Quanto avvenuto è di una gravità spaventosa - ha sottolineato De Falco -. È morto un ragazzo per bene, innocente. Nel locale c'erano molte persone e non si esclude che i due fermati abbiano voluto affermare una capacità di controllo del territorio». Le indagini vanno avanti per ricostruire tutte le fasi e individuare altri eventuali responsabili, con la Procura che si augura maggiore collaborazione: «Sono stati ascoltati in molti, alcuni sono stati omertosi e altri reticenti», ha sottolineato De Falco.