Il 25 novembre/ “M” come molestie: istruzioni per l’uso pure per le donne

di Maria Latella
4 Minuti di Lettura
Venerdì 24 Novembre 2017, 00:16
Nel giorno che potrebbe rappresentare la svolta, il Tipping Point, il momento in cui ovunque si griderà, come nel film “Quinto potere” “Tutto questo non lo sopporterò più, in questo 25 novembre, insomma, è bene aver chiaro di cosa parliamo quando parliamo di violenza contro le donne. Il 25 novembre del 1960, nella repubblica Dominicana, tre sorelle, le sorelle Maribal, furono uccise a bastonate. 
Furono uccise dagli uomini del dittatore Trujillo. Stavano andando a trovare i loro mariti, rinchiusi in carcere come oppositori del regime. L’Onu ha assunto il 25 novembre come data simbolica, per ricordare che nel mondo avanzato cosi come nel terzo e nel quarto, le donne subiscono ancora ogni genere di violenza, fisica e psichica. 

Purtroppo, a ricordarcelo, provvedono anche le cronache. Ogni dannato giorno. Donne uccise dai compagni che non accettano di vederle libere. Donne sequestrate per anni, come mai si oserebbe per animali feroci. Donne fatte a pezzetti sulla pubblica piazza virtuale. Senza difesa.
Questo 25 novembre acquista oggi un significato più ampio perché da settimane parliamo di molestie sessuali. Di uomini di potere, il produttore Harvey Weinstein o i ministri del governo britannico, oppure i capi dei più importanti network tv americani. Di uomini famosi e dunque potenti in proporzione alla loro fama, da Kevin Spacey al regista Fausto Brizzi. Parliamo e leggiamo di accappatoi, jacuzzi, uomini che invitano nelle loro stanze di hotel o nelle loro camere da letto. O uomini che invitano in luoghi apparentemente sicuri, in ufficio, e là propongono lo scambio più antico del mondo.
<HS9>Però, proprio in un giorno come questo, è bene avere chiaro di che cosa parliamo quando parliamo di violenza sessuale. E di che cosa parliamo quando parliamo di “avances” , di molestie, di corteggiamenti e di proposte. Soprattutto, di che cosa parliamo quando parliamo di potere. Il potere di far dire “Si” a qualcuno che invece vorrebbe dire “No” .

Le avances sono un tentativo. A Roma si dice che uno ci prova. Se si risponde “lascia perdere” e quello insiste provocando disagio, irritazione, o una lesione della dignità, quella è molestia. Se nonostante i “No” e nell’impossibilità di sfuggire al predatore, quest’ultimo riesce a imporre un atto sessuale, questo si chiama violenza carnale, stupro.

È bene mette ordine nelle parole. E nelle idee. L’esibizione di un uomo che si masturba davanti a una donna che non può o non riesce a fuggire è una manifestazione violenta di potere. L’esibizione di un sorriso, anche non gradito, no. È un sorriso. Un tentativo di corteggiamento. E se dispiace, non resta che dirlo. È il “come” dirlo che non viene insegnato. Anche per questo, almeno finora, le donne non sanno bene come reagire e nel dubbio accettano. 

Il 25 novembre servirà su fronti diversi. A cominciare dal peso delle parole. Quelle che servono per dire “no” e quelle che dovremo usare, in tv, nei giornali, a cena, per far capire agli uomini che il ricatto più antico del mondo, “o me la dai o non fai carriera” sarà, d’ora in poi, un boomerang per loro. Anche se non si chiamano Harvey Weinstein e non vivono a Hollywood ma a Frosinone.

Secondo i dati Istat nove donne su dieci sono state vittime di ricatti a sfondo sessuale sul luogo di lavoro. Fino ad ora, solo il 20 per cento si è confidato in famiglia o con un collega. E solo lo 0,7 per cento denuncia. 
Come mai, invece, e di colpo, proprio dal mondo del cinema piovono adesso denunce a catinelle? Non lo so, ma vorrei saperlo. Certo, questo metaforico e globale alzarsi in piedi, una dopo l’altra, di tutte le star di Hollywood, di tutti i molestati da Kevin Spacey, somiglia tanto al copione de L’Attimo fuggente e, in fondo, a tanti finali di film americani. Quelli in cui, appunto, uno trova il coraggio di alzarsi e dire la verità e dopo di lui in tanti seguono l’esempio.

Forse non sapremo mai perché il caso Harvey Weinstein è scoppiato nell’autunno dell’anno di grazia 2017, perché si è diffuso a macchia d’olio in Italia e nel Regno Unito (pochino in Francia e zero in Germania. Forse perchè paesi meno influenzati dall’american way of life? Chissà). Comunque sia, è stato vitale togliere il coperchio e far emergere il marcio di quell’abuso di potere. Ora però rimettiamo in ordine le parole e diamo una gerarchia alle violenze. Altrimenti finira’ che la tragedia di una donna rumena, seviziata per dieci anni dal cinquantenne calabrese Aloisio Giordano, venga collocata sullo stesso scaffale delle avances subite venti anni fa da un’attrice allora in cerca di fama. Nel supermarket dei casi umani offerti a telespettatori e lettori, il tema della violenza sulle donne non può essere considerato un prodotto da “offerta speciale”. Adesso tira e vi vendiamo qualsiasi cosa. Le prime a doverne essere consapevoli sono le donne. Per questo il 25 novembre non può essere una data come un’altra, una celebrazione come un’altra. Una confusione come un’altra. Perché le donne vengono uccise, violentate, minacciate quasi ogni 24 ore. E c’é ancora molto da fare perché il 25 novembre possa tornare a essere un giorno come un altro nel nostro calendario.
© RIPRODUZIONE RISERVATA