Per il gip, che ha respinto la richiesta di archiviazione del pm Maura Ripamonti per un medico di guardia della clinica e per l'ostetrica, il «quadro clinico» avrebbe dovuto indurre «i sanitari a trattenere quantomeno in osservazione la paziente, condotta che avrebbe consentito loro di intervenire tempestivamente e adeguatamente per contrastare la rottura dell'utero in corso, evitando in tal modo la morte della donna e del suo bambino». La condotta dei due, dunque, è stata «gravemente imperita e imprudente» dato che la rottura dell'utero era già in corso per il «persistere di forti dolori addominali».
Dagli atti dell'indagine, scrive ancora il gip, emergono infatti elementi che fanno ritenere che la donna «durante la degenza abbia continuato a lamentare allarmanti dolori addominali e mostrasse sudorazione e colorito cianotico», come raccontato dal marito (la sua denuncia ha fatto scattare l'indagine). «La persistenza dei dolori - spiega il gip - avrebbe dovuto indurre i medici che avevano in cura la gestante a prendere in considerazione la possibilità che la donna (...) avesse in corso la rottura dell'utero, che poi ne ha effettivamente determinato il decesso».
Archiviate, invece, le posizioni di un medico di famiglia e di due medici dell'ospedale Niguarda che tentarono un cesareo d'urgenza e disperate manovre rianimatorie per salvare la donna. Nel provvedimento, infine, il gip fa riferimento anche a quell'ecografia "sparita", chiarendo che «la volontaria soppressione del tracciato ecografico è un elemento fortemente indiziario del fatto che un più attento esame dell'ecografia avrebbe potuto diagnosticare tempestivamente la rottura dell'utero». Ora toccherà ad un gup, dopo la richiesta di processo, decidere se mandare a giudizio il medico e l'ostetrica.
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