Marchesi, lo chef che rifondò il comune senso del sapore

Marchesi, lo chef che rifondò il comune senso del sapore
di Giacomo A. Dente
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Mercoledì 27 Dicembre 2017, 14:31
Se ne è andata una stella. Una grande stella della cucina italiana che, con le stelle, quelle della Michelin, aveva sempre polemizzato. Gualtiero Marchesi si è spento ieri nella sua Milano. Dopo essere stato il primo nel nostro Paese a raggiungere le ambitissime trois étoiles - correva l'anno 1986 - questo chef geniale, polemico, egocentrico, eppure generosissimo del suo talento, aveva ritirato ogni fiducia a Guide e classifiche. «Danno cattivi messaggi... stimolano i giovani a inseguire un punteggio, anziché uno stile».

INNOVAZIONE
Difficile non cogliere la provocazione, specie se l'autore era lo stesso personaggio che, tra gli anni 70 e i ruggenti 80, aveva letteralmente rivoluzionato la cucina italiana, sottraendola a un modello in bilico tra piatti senz'anima di vocazione internazionale e matriarcali preparazioni ipercaloriche da osteria. Ai tempi del bianco o rosso, dottore?, della preparazioni grevi di fondi burrosi e salsosi, negli anni atroci della pasta con panna funghi e piselli, questo chef milanese, zodiaco nei Pesci (era nato il 19 marzo), classe 1930, aveva infatti saputo rimescolare tutte le carte, andando a rifondare le basi stesse della gastronomia tricolore, con piatti geniali che avevano sconvolto alle basi quello che era il comune senso del sapore.

Figlio d'arte, il giovane Marchesi aveva cominciato a misurarsi coi fornelli fin dall'infanzia nell'Albergo Ristorante Al Mercato, un indirizzo di buona cucina che i genitori gestivano con gusto sicuro: niente cadute di stile, ottimo servizio e chef che si erano fatti le ossa nei grandi ristoranti del mondo. Che, in quegli anni, era come dire, in Francia. Marchesi, passato per le scuole più severe dei grandi stellati francesi, con folgorazione a Roanne, nel cuore dell'Auvergne, alla corte dei mitici fratelli Troisgros, ha costruito le basi di una grande amicizia, ma anche uno stimolo profondo per costruire il suo stile.

Il decalogo dei Troisgros era fortemente innovativo: valorizzazione di prodotti freschi e di qualità, menù alleggerito, rifiuto di un modernismo a priori, senza tralasciare tuttavia il contributo dell'innovazione tecnologica, messa da parte da salse e sughi troppo grassi, invenzione sì, ma senza truccare i piatti. Si trattava ora di innestare queste idee sull'immenso repertorio del nostro Paese, costruendo una nuova narrazione dove cucina e sala fossero strettamente legate da un vincolo fortissimo col cliente. Nacquero negli anni 80, nel primo ristorante di Marchesi in via Bonvesin della Riva, luogo per eccellenza della grande cucina Italia moderna, concetti a dir poco innovativi: sapori alleggeriti e presentazioni eleganti, come il risotto allo zafferano con foglia d'oro (cotto con l'acqua e non col brodo), il rivoluzionario raviolo aperto, cui avrebbe seguito il dripping di pesce, da un'idea mediata da Jackson Pollock.

In fondo a Gualtiero Marchesi, passato da Bonvesin della Riva a un grande relais legato a una delle più smaglianti cantine delle bollicine italiane a Erbusco in Franciacorta, e poi all'attività accademica per formare giovani talenti, compresa una giocosa collaborazione con Mac Donald's, la cucina stava stretta.

Il suo è sempre stato uno sguardo attento alle contaminazioni, dall'arte contemporanea, cui devono molto le presentazioni dei suoi piatti, al suo grande amore, la musica. In questo mix di suggestioni è nato uno stile magistrale, attento ai valori nutrizionali dei piatti, molto intellettuale, certo, ma mai gratuito o cervellotico. E una scintilla di Marchesi continuerà con Paolo Lopriore, Carlo Cracco, Pietro Leemann, Davide Oldani, Enrico Crippa, Andrea Berton, Paola Budel...
 
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