Il prof umiliato/ Lucca, bocciati 3 bulli. Ma il cellulare in aula incentiva il fenomeno

di Matteo Grandi
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Domenica 22 Aprile 2018, 00:45 - Ultimo aggiornamento: 15:27
Si dirà, e si dice, che certi fenomeni di maleducazione sono sempre esistiti. Che bulli e bulletti hanno sempre imperversato nelle scuole.
Dando vita ad atti e aggressioni di violenza e intensità diverse, e che quanto successo a Lucca da questo punto di vista non fa eccezione. 

Con buona pace di chi cerca di liquidare l’episodio riducendo il tutto a una “questione di classe” tentanto di far passare il concetto che certe cose le fanno i “bifolchi” dell’Itis, mica gli “aristocratici” del Liceo Classico. D’altro canto, che violenza e abusi a scuola, trasversalmente in ogni istituto, siamo sempre esistiti è una realtà innegabile è oggettiva.

Sì dirà, e si dice, che la colpa è sì dello spaccone di turno, ma anche e soprattutto delle famiglie. Che, un tempo, un genitore al proprio figlio, reo di una bravata del genere, lo avrebbe trascinato per un orecchio dal preside implorando il perdono; mentre oggi se rimproveri un alunno rischi di fare la fine dell’insegnante di Foggia, che a febbraio fu picchiato dal padre del ragazzo “vittima” della ramanzina. Vediamo ora che ne sarà delle tre bocciature in tronco decise ieri dal consiglio d’istituto dell’istituto tecnico di Lucca per alcuni dei protagonisti dell’episodio.

Si dirà, e si dice, che è colpa di una società liquida, che spinge alla sopraffazione e al culto dell’ego e, pertanto, se vengono meno i valori fondanti è inutile sorprendersi di fronte a tali derive. Si dirà, e si dice, che la scuola ha perso drammaticamente terreno nella battaglia culturale, che l’ha sempre vista in prima linea nel plasmare coscienze e individui. Insomma si dirà, e si dice, che episodi come quello di Lucca sono generati da una serie di concause, figlie dell’incapacità della famiglia di fare la famiglia; della crisi di valori; del collasso educativo della scuola. Senza, però, dimenticare che i bulli sono sempre esistiti e che - anche per questo - dare eccessiva rilevanza al caso specifico potrebbe essere persino controproducente.

Tutto vero e abbastanza condivisibile, ma forse il dibattito ha bisogno di fare un salto di qualità. Sarà una discussione incompleta se non prendiamo atto che nella nostra società è in atto da tempo una rivoluzione in cui molto di quel che capita ha a che vedere con il nostro essere iper-connessi. Così ci ritroviamo a essere, quasi inconsapevolmente, protagonisti di un “Black Mirror” quotidiano, in cui i fatti di cronaca sembrano usciti dalla penna degli sceneggiatori della serie tv inglese. Una fiction, quella, che indaga, attraverso i suoi inquietanti episodi, le derive figlie delle nuove tecnologie. Come si lega questa considerazione alla storia di Lucca? Con la consapevolezza di quel ragazzo di essere filmato da uno smartphone; si lega ai cambiamenti antropologici attivati dalla rete; si lega, senza scomodare McLuhan, alla presa di coscienza che il medium sta cambiando il modus cogitandi di chi lo utilizza. La rete è un mezzo prezioso, ma dipende sempre dall’uso che se ne fa.

E oggi internet non sta cambiando soltanto la società, sta anche cambiando noi, che della società siamo i protagonisti. Per un ragazzino ambire a quel palcoscenico virtuale che è il web, sapere che la propria bravata ripresa dai telefonini dei compagni di classe, può diventare virale, può ambire alla dimensione di “tacca sul muro dei propri like” rischia di diventare un diabolico incoraggiamento. Nessuno è permeabile come un adolescente a certe sollecitazioni. E l’amplificazione di simili “prodezze” non fa che rafforzare i propositi del bullo di turno. Prima di saltare a conclusioni affrettate proviamo a porci una domanda. Il “teppistello” di Lucca, in questo momento, si starà vergognando o starà vivendo il suo personalissimo momento di gloria, sbattuto sulle prime pagine di tutti i siti web, protagonista di un video che sta rimbalzando sui telefonini e sulle bacheche di chiunque?

La risposta al quesito, probabilmente, è in grado di gettare nuova luce su tutto il contesto. Perché, forse, sostenere che esista un rapporto di causa-effetto fra i social (e la loro capacità di amplificare tutto, nel bene e nel male) e certi episodi, può suonare riduttivo e semplicistico; eppure, se non accettiamo l’idea che la vetrina virtuale possa essere un pericoloso incentivo, rischiamo di non saper più leggere il presente. Dovremmo pontificare meno e riflettere di più. E nel frattempo pretendere che gli smartphone in classe (terribile abitudine, ingiustamente tollerata) vengano banditi una volta per tutte.
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