Livorno, confessa l'assassino dell'uomo carbonizzato: l'omicidio per un telefonino

Livorno, confessa l'assassino dell'uomo carbonizzato: l'omicidio per un telefonino
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Sabato 25 Novembre 2017, 12:47 - Ultimo aggiornamento: 26 Novembre, 13:33
Il movente dell'omicidio di Hamdi Fathel, l'uomo trovato carbonizzato a Piombino nei giorni scorsi, secondo quanto è emerso dalle indagini, sarebbe stato un telefono cellulare del valore di 5-600 euro, di proprietà di Marco Longo, l'uomo fermato e che ha confessato di averlo ucciso, del quale il tunisino si era impossessato. La notte dell'omicidio Longo è andato a casa del tunisino proprio con l'intenzione di riprendersi il telefonino. E c'era andato armato, con una Beretta 7.65 modificata da un silenziatore artigianale, perché sapeva che il nordafricano era armato di coltello. Secondo quanto appurato dalla procura di Livorno i due, che si conoscevano da tempo, avevano avuto un grosso litigio per la somma corrispondente al valore del telefonino. La vittima aveva subito una condanna definitiva per spaccio di stupefacenti, mentre Longo aveva avuto un passato di tossicodipendenza di eroina da cui era uscito ricostruendosi una vita con moglie (alla quale non aveva detto nulla dell'accaduto) e due figli. L'omicida durante l'interrogatorio ha raccontato di aver spiegato al tunisino, che una volta uscito dal carcere lo aveva ricontattato, di non voler avere più a che fare con lui.

Marco Longo, una guardia giurata di origine siciliana di 33 anni, ha dato una sua versione dei fatti che, come ha spiegato il procuratore Ettore Squillace Greco ringraziando polizia e carabinieri di aver svolto un'efficace sinergia investigativa, è stata riscontrata dagli elementi acquisiti. Le indagini proseguono, è stato tuttavia spiegato, anche se l'uomo ha confessato l'omicidio ed è attendibile.

Longo è stato bloccato nel corso di un blitz congiunto tra polizia e carabinieri mentre si trovava in un centro estetico di Venturina. Il fermo è stato disposto per il pericolo di fuga. Secondo quanto emerso dalle indagini, l'uomo che avrebbe agito da solo, aveva già confessato ad amici intimi i particolari del delitto commesso perché non ce la faceva più a vivere con quel rimorso. Nel corso dell'interrogatorio ha poi confessato di aver colpito il tunisino con due colpi di pistola al petto mentre era ancora in piedi e uno alla testa. Quest'ultimo colpo ha trapassato il cranio e Longo ha potuto recuperare il proiettile facendolo sparire dal luogo dell'omicidio. Questa versione, che poteva sapere soltanto l'assassino, corrisponde con l'esame Tac che il medico legale ha effettuato sul cadavere.

Sempre nel corso dell'interrogatorio ha confessato inoltre il taglio preciso delle monete messe sugli occhi della vittima (monete da 20 centesimi) probabilmente nel tentativo di depistare le indagini.
L'uomo non ha saputo spiegare neanche il motivo per cui ha legato il tunisino al letto. Compiuto l'omicidio ha raccontato al pm di aver cercato dappertutto il suo telefonino, del quale si era impossessato Hamdi Fathel e che sarebbe stato all'origine del gesto. Solo dopo averlo trovato, ha raccontato, avrebbe deciso di dar fuoco all'appartamento perché non si trovassero tracce che potevano ricondurre a lui. Dal cerchio delle indagini, serratissime, in cui si è ricostruito l'ambito in cui si muoveva la vittima il nome di Longo, tra l'altro incensurato se si esclude una segnalazione per guida in stato di ebbrezza, era già uscito, ma la svolta c'è dopo che alcune persone erano state sentite. Una confessione, quella di Longo, ritenuta fin qui sincera: «Non riusciva a capire la gravità del gesto compiuto», hanno spiegato gli inquirenti, probabilmente agendo in uno scatto d'ira, ma che non significa per la procura che non ci siano ancora particolari da chiarire. Le indagini infatti proseguono per capire se ci sia un ulteriore movente o se ci siano altre persone coinvolte.
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